3.7.17

I motivi della mia generazione

E' un guardarsi indietro, con nostalgia ma non con rimpianto (non rimpiangere mai le situazioni passate, vivi nel presente, se ci riesci...).
Ero molto ingenuo, selvaggio e incolto, direi anche ignorante, nel senso di primitivo, un fauve sognante e incacchiato che pensava di poter rovesciare tutta la cacca che le generazioni precedenti ci avevano e hanno scaricato addosso.
Mi sbagliavo e solo nell'ultimo anno di quei settanta tremendi e meravigliosi allo stesso tempo, la svolta si stava preparando dentro di me.
E la mia è stata la svolta verso la spiritualità, il mondo interiore, l'espressione artistica e la scienza, tutto insieme, come un calderone rimasto compresso per
quasi un decennio, dal 1974 fino al 1979.
Le giornate interminabili trascorse sui vagoni luridi di treni lenti e scalcinati, per recarci al successivo appuntamento con la piazza, la manifestazione, e insomma, tutte quelle scene che si vedono ogni tanto di sfuggita in qualche nottata di FUORI ORARIO, Agosti e pochi altri.
E' stato un caso, forse un destino, un karma, che non sia finito con la testa rotta o che l'abbia spaccata a qualcuno e di questo sono grato a chi mi ha protetto con un'energia invisibile, per poi attrarmi a sé, anni dopo.
Il prezzo pagato, il danno  fatto, il miracolo ricevuto sono tutti parte di un piano, per arrivare fino ad oggi, ma non è stato facile riprendere gli studi all'università, lavorare il sabato e la domenica, come Dj in un piccolo locale di periferia, e poi i primi viaggi, questa volta per vedere il mondo, per cercare una strada, un maestro, una guida spirituale. 
E la delusione ben arginata perché sapevo che nessuno ti è veramente maestro e comunque, anch'egli respira, vive, mangia e insomma ha normali impulsi e sentimenti di ogni essere umano.
Ho continuato a girare, da solo e in compagnia, ma non cercavo più, nemmeno sapevo di aver trovato, solo mi ero arreso all'idea di vivere e basta.
Tutto qui? Si, per me è tutto qui, una boccata di aria fresca, un bicchiere d'acqua di fonte, un frutto appena colto da un albero che sembra offrirtelo, e molte altre cose, fanno parte del vivere.
Certo, ci sono anche malattie, guai, problemi che ti vengono dietro come mosche sul miele, ma anche questo è l'altro aspetto del vivere.
Il lavoro come contabile per mantenermi agli studi che ho poi proseguito con altri percorsi e specializzazioni, l'inizio di un lavoro di ricerca in neurobiologia del sistema immunitario e del comportamento, i primi soldi guadagnati con un senso di realizzazione personale, anche se a oltre quaranta anni passati.
Poi la pittura, la mia passione di sempre, che mi spinge come una donna irresistibile a mettermi davanti a pezzi enormi di tela, con pennellesse, scope e attrezzi strani, lavorando con una immersione totale in un mondo di sogno, di gioia e sofferenza al contempo. Continuo a lavorare tutti i giorni, e da un paio di anni faccio solo quello, perché ho smesso a sessant'anni di lavorare nel mondo scientifico e finalmente, solo la pittura occupa le mie giornate.
Assieme alla meditazione, una pratica cui sono rimasto fedele ormai dai primi anni ottanta e che riesco a fare anche durante la pratica artistica.
Non ho venduto nemmeno uno dei miei grandi lavori, molto ingombranti e informali, che richiedono una conoscenza teorica dei chiaro-scuri, dei colori, dell'impatto dei medium sulle superfici e ore, giorni e mesi su mesi di prove, tentativi, distruzioni e continui rifacimenti per raggiungere l'esperienza che è la sola a permetterti di non scappare davanti a un pezzo di tela di 2 metri per due o tre metri, vuota, totalmente bianca e inespressiva.



E sono stato fortunato: con la mia costanza e insistenza, ho potuto parlare alcune volte con due dei miei grandi miti, Soulages, il più grande per me, ancora vivo, e Mathieu, che a Venezia deve aver faticato non poco per cercare di liberarsi di me e altri seccatori, ma quando ha capito nel mio stentato francese che Je ne suis pas un journaliste, allora si è forse impietosito o incuriosito, non so e abbiamo parlato molto, specie dei colori, della consistenza dell'impasto, di come agirli sulla tela e insomma tutta una roba tecnica che chi conosce questo grande maestro, forse il primo creatore dell'astrattismo lirico o poetico, sa bene.
Soulages l'ho atteso davanti al cancello del suo studio per giorni e infine, mosso a pietà, visto che faceva molto caldo, mi fece cenno con la mano, che potevo entrare.
Così ho potuto assistere a diversi cicli di realizzazione dei suoi lavori, con la sabbiatura delle tavole, le colate dense di vernice nera come la notte più fonda, la lucidatura e i riflessi che alla fine emanavano da quegli enormi monoliti neri e inquietanti, come il monolito che Kubrick rappresentò in modo magistrale nel 2001 odissea.
Poi la conoscenza tutta intellettuale degli americani, di molte donne incredibilmente piene di talento e originalità, al punto che restavo sorpreso che tanti nomi non avessero ingenerato attenzione come meritavano, penso a Michel West su tutti (in realtà Corinne Michelle West), una astrattista fuori quota e qui in Europa conosciuta solo da pochi studiosi, come tante e tanti altri, ad esempio Amaranth, Perle Fine, e tante altre.
Poi la riflessione sul mondo che più mi stava vicino, Santomaso, Corpora, conosciuto a Venezia, ricorderò sempre una tela di 2x3 metri, bellissima, Afro, e forse il più innovativo, Burri.
Sembra stano ma nell'astrattismo, nelle sue varie forme, geometrico, hard edge, Large color field, lirico, sembra sia stato detto tutto, e forse in parte è vero, ma non meno di quanto è vero per la neo figurazione, poi la neo-neo- e rineo- figurazione.
Penso a Ives Klein, che sparava vernice con un cannoncino ad aria, o che rovesciava barattoli di tinta su qualche ragazza per farle avvoltolare su un pezzo di tela steso a terra e siamo a fine anni cinquanta, o a Niki de S. Phalle, (che dio la custodisca bene) che riempiva palloncini e barattoli di vernice e poi li faceva esplodere sopra una catasta di oggetti, sparandoci con un fucile, e siamo nei primi anni  sessanta.
Insomma, questi Young British Artists sono veramente una novità assoluta? In parte, e teniamo conto che sono passati decenni e i mezzi tecnologici sono andati molto avanti, sia come materiali che nei computers eccetera.
Oppure, penso alla ultra ottantenne Bridget Riley, che a inizio anni sessanta, sfornava dei lavori totalmente originali, con colate di colori che oggi sono riprese da almeno due o tre genietti della YBA britannica, solo che utilizzano delle miscele di polietilene assieme alle vernici, per conferire aspetto plastificato, roba che negli anni sessanta era difficile da trovare.

E io, cosa faccio, cosa penso e voglio realizzare?
Semplice, il mio personale -manifesto, si basa su:
- liberare il gesto, sbracciare, lottare e fare l'amore con il supporto e i medium,
- realizzare quello che sta nei limiti di quanto conosco e ho fatto esperienza con prove e riprove per anni;
- cercare di realizzare il lavoro nel più breve tempo possibile, perché è l'unico modo di riuscire a esprimere quello che sentiamo in quel momento, senza mediazioni o ripensamenti;
- tenere per buoni solo quei risultati che ci appagano anche a distanza di giorni, e questo è il compito più arduo, perché siamo gli unici giudici del nostro lavoro e questo solipsismo può portare a distorsioni cognitive anche notevoli.
- sottoporre i lavori finiti a un piccolo corteo di amici intimi, che possono consolidarci o darci impressioni da tenere utili in seguito.
E' tutto e come si vede, gli aspetti di spontaneità, immediatezza sono preminenti su quelli concettuali, ma ricordiamoci tutto il bagaglio di esperienze e conoscenze fatte in anni e anni di prove e tentativi per lavorare e preparare le superfici e supporti, l'abbinamento dei colori, le dimensioni, le masse e forme, le colate e i dripping e tecniche di attacco dei medium, la loro consistenza, fluidità eccetera.
Queste cose le ho imparate tutte provando e riprovando, buttando via centinaia di schizzi, prove, lavori completi non soddisfacenti, e ha richiesto anni.
Per dirne una, ho tenuto ben presente quanto diceva  Matisse, che una massa di colore di un punto è una cosa molto differente se la facciamo grande un metro, oppure Hoffman che spiegava agli studenti dell'ASL la sua concezione di alternanza dei colori caldi e freddi, che crea senso di allontanamento o avvicinamento (anche questo deriva da Matisse, in parte).
Insomma, devi conoscere una quantità di teoria ma sopratutto devi padroneggiare la tecnica, e solo allora puoi cercare di andare nella prateria, nel vuoto e cercare di riempirlo, magari contro quelle stesse regole che hai imparato.

Da ultimo, credo che inevitabilmente un artista sia un termometro di sensazioni e modi differenti di percepire il mondo attorno, e come Vasco Rossi riesce a parlare a generazioni differenti, cosa che non hanno fatto nemmeno i Beatles, un artista deve riuscire a parlare almeno a un paio di generazioni, diversamente tutto si riduce ad un effetto speciale, ad un fatto di mercato, ad un circo, senza offesa per i circensi.
Ricordo una lunga chiacchierata con Cremonini, che anche se non faceva una pittura vicina alla mia, era una persona deliziosa e molto preparata tecnicamente: pensa, mi diceva e mi sembra ieri, se non avessi avuto questo gallerista francese avrei fatto la fame, perché durante gli anni ottanta e seguenti, la mia forma espressiva era completamente ignorata se non disprezzata. Allora c'erano i geni della Transavanguardia, che facevano lavori enormi, che per me erano cose anche interessanti ma certamente molto grezze e poco formate. 
Ecco, Cremonini era un artista vero, una persona colta, tranquilla, che è riuscita a sopravvivere grazie alla Francia, per qualche destino imperscrutabile ma che si realizza se hai dentro qualcosa da dire.
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