10.6.19

Considerazioni sul ruolo dei geni nella corsa di mezzofondo e fondo.

Quando mi accingo a iniziare i miei seminari o workshop di fine settimana, mi trovo di fronte a una piccola classe di una decina di persone, di età compresa tra i 25 e 45 anni. 

La prima cosa che cerco di fare è smontare alcune delle loro errate convinzioni, del tipo che la velocità massima di un atleta si può allenare e aumentare con la progressione degli allenamenti, oppure che gli allenamenti, specie se duri e tirati, sortiscono l'effetto di migliorare di molto le prestazioni del mezzofondo e velocità prolungata.
La domanda che inevitabilmente mi fanno è: ma allora, a che serve l'allenamento?
Bene, ora si può iniziare il seminario.
L'allenamento migliora la velocità? No, nel senso che se facciamo correre due ragazzini, apparentemente pari dotati, di stessa età e apparente costituzione fisica e altezza, vediamo che uno puntualmente, raggiunge punte di velocità massima sempre superiori all'altro, e dico questo, senza mai aver fatto fare esercizi.
Cosa voglio dire? Che il corredo genetico e famigliare dei due ragazzini è differente e uno dei due dispone di caratteristiche che lo rendono più veloce, intendo come Vmax (Velocità Max o di punta).
Ancora non abbiamo detto molto sui reali meccanismi genetici e quindi morfologici e fisiologici, biomeccanici e biodinamici che spiegano queste caratteristiche di base.
Lo faccio adesso. Le caratteristiche genetiche che predispongono ad una maggiore propensione per punte elevate di velocità sono: 
il rapporto tra fibre veloci e fibre lente, la reattività muscolare, i tempi di reazione appunto, la forza della contrazione e decontrazione delle catene muscolari attinte e naturalmente, l'apparato di conduzione degli impulsi nervosi periferici, quello cardiaco e quello respiratorio.
Mi è capitato di allenare un ragazzino che raggiungeva spontaneamente picchi di velocità veramente degni di un gran velocista, ma non c'era verso di farlo correre per più di 20 o 30 metri, da quel momento la velocità non solo non incrementava ma tendeva invariabilmente a declinare e le prove computerizzate mi mostravano dati e grafici precisi correlati con le frequenze respiratorie, il consumo massimo di ossigeno e le frequenze cardiache concomitanti.
Ho deciso di dirottarlo per il salto in lungo e il triplo, pur nutrendo dubbi sulla sua solidità muscolo-scheletrica, che si è provveduto a rinforzare in modo mirato.
Peccato, in una gara di 30m questo ragazzino era imbattibile ma si sa, le gare di 30m non esistono, quindi niente sogni e chimere.
Non potevo nemmeno dirottarlo sulla velocità prolungata e sul mezzofondo, perché i suoi parametri di partenza non indicavano alcuna caratteristica favorevole per tali performance.
Ma come, lei non l'ha fatto allenare per la velocità?
No,perché è vero che il ragazzino era dotato di geni per la velocità, ma non disponeva di tutto il resto che serve per poter ottenere con l'allenamento delle performace di alto livello.
Non poteva nemmeno fare mezzofondo, perché i suoi parametri di partenza erano veramente off limits per la resistenza.
Nel settore salti in lungo e triplo, occorre una eccellente punta di velocità in pochi metri di corsa e una scarica di energia sul terreno, da sfruttare dinamicamente e tecnicamente per ottenere la prestazione, tutte caratteristiche che il ragazzino possedeva, almeno in linea di dati grezzi.
Oggi si è ritirato da alcuni anni dopo aver ottenuto buoni risultati, non eccellenti ma a livello europeo, sicuramente di notevole interesse, con un personale superiore a 8 e 10 e con molte gare in cui ha sempre superato con facilità il limite degli 8m.
Una ragazzina di tredici anni, messa in pista, fischio e faccio partire il cronometro, deve correre più veloce che può fino a che non fischio di nuovo, per farla fermare. Risultato, Vmax molto buona, capace di incrementarla e mantenerla per più di 40m. Le dico che sarà una prossima grande velocista, se si impegnerà e sarà assidua e continua e così è stato. In carriera, già a 19 anni raggiunse un 11.7, per scendere cinque anni dopo al suo personale di 11.07. In carriera ha corso molte gare sotto gli 11.5 e nei 200m anche meglio, con un PB di 22.12.
E tutto questo lo si vedeva dall'inizio, da quella corsetta fatta in un pomeriggio d'estate, sotto un sole cocente, su una pista in terra battuta.
L'allenamento a cosa serve allora? A riempire tutte le caselle che la genetica e famigliarità lasciano pronte per essere riempite con le metodologie di allenamento e con la tecnica di corsa.
Nella velocità è importante sviluppare e allenare le fibre veloci, e cercare di prolungare la durata della velocità massima per un periodo di tempo sempre più lungo, ripetendo ad esempio delle serie di 30m per dieci volte, poi di 40, poi di 50, sempre diminuendo i tempi di recupero tra una ripetizione e l'altra.
Lo ripeto spesso, si deve finire con l'atleta che ottiene la sua performance senza apparente sforzo, voglio dire, se vedete gli atleti più forti, vedete che sembra quasi che facciano uno sforzo minore degli altri e questo è l'effetto dei loro geni buoni ma anche del condizionamento ottenuto con le giuste metodiche di allenamento.
Nel mezzofondo le fibre veloci servono molto meno: qui i geni buoni significano un apparato cardio respiratorio molto efficiente e quindi una alta resistenza ad uno sforzo non massimale ma di lunga durata. Quindi l'allenamento punta a portare l'atleta al limite delle sue possibilità che il corredo genetico e famigliare gli offre.
Quindi, vedete bene che l'allenamento non farà diventare un atleta di livello mondiale un soggetto con geni poco buoni per le caratteristiche che servono a tale scopo.
In tutti i casi, l'allenamento serve a portare verso i limiti biologici e psicologici le performance dell'atleta, non potrà mai superare la dotazione genetica e famigliare, presente alla nascita.
In altre parole, la determinazione, le caratteristiche psicologiche di resilienza, la caparbietà e la persistenza e assiduità, a parità di condizioni diciamo innate e la capacità di non abbattersi di fronte a risultati deludenti,sono le caratteristiche innate e apprese, che possono fare la differenza.
L'unica cosa che l'allenamento può fare è fornire una corretta metodica per spostare sempre il livello delle prestazioni ai propri limiti, ma i limiti restano sempre quelli iniziali, cioè il potenziale da raggiugere.