Riporto quella che mi sembra una accurata ricostruzione della carriera
comunitaria di Vincenzo Muccioli e dei suoi familiari, fino ad oggi, dove a seguito di disaccordi tra la Ex sindachessa di Milano, signora Letizia Moratti e coniuge, finanziatori al 70% delle attività di San Patrignano e il Direttore, il figlio di Vincenzo, che si è dimesso da tutte le cariche propio questa estate 2011.
Sembra che tra l'altro, ci sia in ballo una villa da molte centinaia di metri quadrati, con arredi supercostosi e del valore di diversi milioni di euro, costruita forse alllo stesso modo in cui è stato costruito San Patrignano.
comunitaria di Vincenzo Muccioli e dei suoi familiari, fino ad oggi, dove a seguito di disaccordi tra la Ex sindachessa di Milano, signora Letizia Moratti e coniuge, finanziatori al 70% delle attività di San Patrignano e il Direttore, il figlio di Vincenzo, che si è dimesso da tutte le cariche propio questa estate 2011.
Sembra che tra l'altro, ci sia in ballo una villa da molte centinaia di metri quadrati, con arredi supercostosi e del valore di diversi milioni di euro, costruita forse alllo stesso modo in cui è stato costruito San Patrignano.
Di Don Gelmini e Comunità Incontro, e del suo di Lui fratello, il famigerato padre Eligio (Gelmini), amico e consulente spirituale di Rivera e altri personaggi, vi dirò in seguito sempre su questo articolo.
Copio e incollo da marcosalvia.it la risposta di Similitudini.
4 aprile 2009 alle 21:55
L’impressione, e soprattutto l’augurio, é che non faticherete molto ad orientarvi in questa sorta di articolo-inchiesta. Anche se é pur vero che il binomio Muccioli-S.Patrignano non é mai stato foriero di pacate (seppur approfondite) analisi, da qualsiasi punto di vista esse fossero fatte. In queste righe non avrò certo l’ardire di emettere sentenze, ma di una cosa sono sicuro: quello che i mezzi di informazione ci hanno sbolognato su Muccioli non é mai stato, nella quasi totalità dei casi, un giudizio pienamente obiettivo. E appunto partendo da tale convinzione che ho compiuto una ricerca bibliografica sul settimanale CUORE facendo riferimento ai lavori di Anna Tagliacarne, Luisa Pronzato, Roberto Duiz, Claudio Sabelli Fioretti, Pier Maria Romani tra i soli ai quali va il merito di aver cercato di documentare anche l’altra faccia della medaglia, quella che forse costerà disagio, meraviglia, propri di coloro ai quali viene repentinamente prospettata una realtà diametralmente opposta a quella magari fino a quel momento immaginata. Mi auguro solo di riuscire a instillare in voi il dubbio che forse Muccioli non era quello stinco di Santo che vogliono farci credere, ma soltanto un uomo che non considerava i tossicodipendenti come titolari di tutti i diritti ascrivibili ad una persona, ma uomini e donne da dover sottomettere per cercare di sostituire la sua volontà alla loro, in una sorta di delirio di onnipotenza. SanPa non é l’unica comunità per il recupero dei tossici e nelle altre, per niente pubblicizzate, non si usano gli stessi metodi, pur raggiungendo e forse superando gli stessi risultati.
La collina degli spiriti
Negli anni settanta Vincenzo Muccioli lavorava come albergatore all’hotel Stella polare di proprietà della moglie, signora Antonietta, che a sua volta l’aveva ereditato dai genitori. Per essere precisi Muccioli un lavoro vero e proprio non ce lo aveva mai avuto anche per l’agiata posizione economica che il padre, assicuratore e proprietario terriero, aveva raggiunto in quel di Rimini. E chissà, fu forse per ingannare la noia di una vita monotona che non riusciva a frenare il suo bisogno di evadere dalla normalità, che Vincenzo si avvicinò seppur tiepidamente alle pratiche medianiche, con l’aiuto di un suo amico, Luciano Rossi. Fu solo più tardi però, ormai quarantenne, che scoprì di possedere doti da medium e di essere in grado di captare messaggi extrasensoriali. La cosa doveva essere di grande impatto emotivo (Muccioli durante le sedute andava in trance e identificandosi col Cristo predicava la comunione dei beni) perché nel giro di poco tempo quei pochi che assistevano diventarono sempre più, fino a costituirsi in un gruppo, il Cenacolo che si trasferì sulla collina benedetta di S. Patrignano, di proprietà di Vincenzo, dove tutti insieme si coltivava la Vigna del Signore . E poiché Muccioli predicava vita umile e povertà i proventi di questo lavoro, rigorosamente gratuito, sarebbero stati devoluti ai bisognosi. Risulta superfluo precisare, a questo punto, che gli adepti del Cenacolo venivano invitati a privarsi dei loro beni terreni e a rinunciare alle tentazioni della carne. Un po’ meno, invece, che per stupire gli spettatori Vincenzo si presentasse con graffi sul costato e i piedi, annunciando loro di avere le stimmate. « L’ho visto attraverso una finestra mentre si praticava dei tagli sulle mani con un trincetto per la pelle, prima di una seduta medianica » dichiarerà in tribunale Lino Grossi. Come sempre in questi casi i più suggestionabili non riuscivano a dare a queste esperienze la giusta dimensione e finivano per cadere in uno stato di dedizione assoluta che si rifletteva negativamente persino sulla loro vita familiare. « Sono convinta che mio marito sia stato plagiato dal Muccioli e che costui l’abbia messo contro di me » é la dichiarazione rilasciata al giudice istruttore da una donna, Maria Teresa Tusino che nel ‘78 sporse denuncia contro il marito, Giulio Canini, che l’aveva picchiata per il suo rifiuto a che il figlioletto lo seguisse in comunità. Giulio Canini é morto suicida qualche anno dopo per cause non del tutto chiare e sembra lasciando un diario che non é mai stato ritrovato. Nel frattempo la Vigna del Signore andava sempre meglio e diventava sempre più affollata anche da quei tossicodipendenti che cominciavano ad arrivare per farsi curare. Evidentemente però, non tutti gli adepti dovevano essere così sprovveduti perché alla richiesta di due loro, Bruno Camosetti e Guerrino Pieri, di vederci chiaro sull’effettiva destinazione dei proventi della Vigna dove si allevavano anche cani, cigni e pollame, l’autorità giudiziaria arrivò a dimostrare che unici beneficiari di alcuni degli assegni rintracciati erano stati Muccioli e sua zia Serafina. Ormai, però, l’attività principale di S. Patrignano era quella di centro d’accoglienza per i tossicodipendenti che arrivavano a supplicare assistenza e l’iniziale piccola Vigna del Signore é oggi diventata un’estensione di 220 ettari di terreno dove 2189 tossicodipendenti e non, fatturano, con le varie attività produttive, circa 22 miliardi annui: laboratori di falegnameria, la tristemente nota pellicceria, allevamenti di ogni genere (quello con i 300 purosangue da gare internazionali é considerato il migliore d’Europa, ma dei cavalli ne riparleremo) e perfino un ospedale all’avanguardia per la cura dei malati di Aids inaugurato nientepopodimeno che da tre dei ministri del governo Berlusconi (Costa, sanità; Guidi, famiglia; Biondi, giustizia). Un vero e proprio marchio di garanzia per la struttura, peccato che la stessa sia stata costruita in gran parte abusivamente. Ma niente paura; non può certo una quisquilia del genere fermare il guru di S. Patrignano. E qui entra in gioco un altro aspetto dell’inesauribile Vincenzo: le amicizie influenti . Il 24 settembre 1994 al Comune di Coriano, di cui SanPa é frazione, arrivano, presentate dal geometra della comunità, Sergio Pierini, trentuno richieste di sanatoria per abuso edilizio perpetrato, guarda un po’, proprio quando del Comune era Sindaco (PCI) lo stesso Pierini. Il perché, poi, della richiesta a che le pratiche fossero protocollate immediatamente, si capirà solo quando, tre giorni più tardi, arriverà un decreto approvato dal consiglio dei ministri che conferisce agli edifici adibiti a comunità terapeutiche e a quelli per l’inserimento sociosanitario nelle stesse, la qualifica di opere pubbliche indifferibili e urgenti che pertanto sono esonerate dal pagamento degli oneri di concessione oltre alla possibilità di una loro realizzazione in deroga agli strumenti urbanistici. In soldoni: Vincenzone avrebbe potuto, d’ora in poi, costruire tutto quanto voleva senza alcun permesso, risparmiare i circa quattro miliardi che avrebbe dovuto versare per il condono degli abusi già fatti e, di fatto, dunque, condonare l’intera S. Patrignano, compresa la sua villa, alla quale torneremo comunque fra poco. Muccioli, quindi, sapeva almeno tre giorni prima della sua firma, dell’esistenza del decreto legge; questo, chiaramente nella più innocente delle ipotesi. Ma le sue amicizie non si fermano certo a quelle arcinote, politiche: Craxi, De Lorenzo, Benvenuto (che addirittura si vanta di averci fatto un Primo Maggio a SanPa), ma anche e soprattutto giornalisti, o meglio chi a una parte di loro dà lavoro: Letizia Moratti, presidentessa della Rai e moglie di quel Gianmarco Moratti, petroliere, assieme al quale trascorre i suoi fine settimana proprio nella comunità in una villa accanto a quella del guru. E con questo credo di aver fugato anche i vostri ultimi, più ostinati dubbi, sul perché di tutta la piaggeria che la televisione di Stato (!) ci ha vomitato addosso ogni qualvolta si é toccato il tasto-Muccioli, negli ultimi tempi. Ma eccoci alla villa: « Una villa principesca . Una villa di circa 1500 metri quadri, con un grande parco recintato, con fagiani, galli cedroni, fenicotteri rosa. Una volta c’erano anche i daini. E una gabbia con le pantere. In cantina c’é la Jacuzzi, l’acquario di pesci tropicali, la sauna, la cantina di vini pregiati del figlio, il caveau blindato. Per non parlare del parco macchine: suo figlio Andrea la Mercedes 300 e lo scooterone Honda, suo figlio Giacomo la Porsche Carrera cabrio e la Bmw K100 oltre ad una Range Rover per le gare di autocross. Lui, Vincenzo, girava con la Mercedes 600, la moglie con una Bmw 318 familiare. E infine il personale di servizio. C’era un maggiordomo in livrea che serviva il the su vassoi d’argento e in guanti bianchi. E cinque fra cameriere e stiratrici » . A parlare é Roberto Assirelli, testimone contro Muccioli al processo per il delitto Maranzano. Ha lavorato tredici anni a SanPa dove é entrato come tossico e ne é uscito guarito: oggi é assessore PDS al bilancio e alla cultura al comune di Coriano. A onor del vero va precisato che Muccioli aveva regalato tutti i beni immobili di appartenenza della comunità alla Fondazione S. Patrignano, nata sul finire del 1985, qualche mese dopo la sua condanna nel 6/2/85 per gli incatenamenti e prima dell’assoluzione in appello il 28/11/87. Col trucco, però, niente paura. L’art. 11 dello statuto recita: « se entro tre anni dal riconoscimento della personalità giuridica (cioè entro il 26 marzo 1994), il patrimonio della fondazione supera la soglia dei quattro miliardi la casa potrà ritornare di proprietà dei figli se ne faranno richiesta entro il 2001. Richiesta da inoltrare al Presidente della Fondazione » , cioè ¼ Muccioli stesso! (per la cronaca, oggi SanPa é valutato oltre 30 miliardi). E i macchinari, i beni mobili, i famosissimi cavalli, di chi sono? Già, i cavalli. Per loro Vincenzo non ha mai badato a spese: si dice che Wejawey sia stato acquistato per due miliardi e trecento milioni mentre Kassandra per soli due miliardi. E Roberto Assirelli ha detto che per acquistare purosangue veniva spedito in giro per l’Europa, con i soldi nascosti in un doppio fondo delle auto che venivano all’uopo preparate per la comunità in un autosalone di Milano; ma che c’entra questo con il recupero dei tossicodipendenti? il famoso metodo Muccioli Siamo nel ‘79 quando ai carabinieri arriva un ritaglio di giornale con su scritto: « Sono prigioniero di queste persone. Telefonate alla polizia o ai carabinieri. Ho già avuto 7 collassi e sto malissimo » . Il ventisettenne Paolo Morosini, sottoposto a cura intensiva di disintossicazione, era stato imprigionato da quattro giorni. La vicenda non ha comunque un seguito perché Muccioli si discolperà affermando « i drogati sono gente capace di intendere ma non di volere » . Non va a finire allo stesso modo, invece, in un’altra occasione: il 28 ottobre 1980 una ragazza di ventitré anni, Maria Rosa Cesarini, si presenta alla squadra mobile di Forlì raccontando di essere fuggita da S. Patrignano dopo essere stata rinchiusa per sedici (!) giorni in una piccionaia . Quando i poliziotti irrompono nella comunità, trovano Luciano Rubini e Leonardo Biagiotti incatenati in due locali usati come canile, Marco Marcello Costi incatenato alla porta in ferro di un locale di tre metri per uno e Massimo Sola incatenato ad un manufatto adibito a colombaia. Tutte queste persone deporranno qualche giorno dopo; tutte tranne una, Leonardo Biagiotti, trovato morto sulla linea ferroviaria a Castelfranco Emilia, diretto a Milano, caduto dal treno. Vincenzone viene arrestato con alcuni suoi collaboratori e imprigionato per un mese; il processo verrà tenuto quattro anni più tardi e finirà con una condanna a venti mesi per Muccioli in primo grado e assoluzione in appello. Ma veniamo alle testimonianze di tutti quelli che hanno deposto all’altro, ben più grave e recente processo che ha investito Muccioli: quello per l’omicidio di Maranzano, ammazzato nel reparto manutenzione . A rispondere é Claudio Ghira, ex-medico di S. Patrignano: -Cosa succedeva alla manutenzione?- « Pestaggi e cure successive. Ricordo una testa spaccata e ricucita con una ventina di punti. E una milza esplosa a pugni » -Ci sono stati altri morti oltre a Maranzano?- « No, in quel modo no. » -In altri modi?- « Molti dei suicidi della comunità sono quantomeno sospetti… » -Si poteva entrare al reparto manutenzione?- « No. Ci sono due medici presenti 24 ore su 24. E poi Capogreco, il responsabile del reparto » -Ma che medici sono se non denunciano questi metodi?- « Credono in Muccioli. Se sei dentro é perché gli credi » -I rapporti sessuali sono controllati da Muccioli?- « Certo, ma nessuno controlla i suoi. Eppure quante volte lo abbiamo visto a letto con i ragazzi più giovani? Per molti di noi, però, almeno fino a quando non si riesce a passare dalla fase acritica, anche quello viene visto come un modo per stare vicino ad una persona che sta male » -Parli di rapporti omosessuali forzati?- « So di un ragazzo milanese che sicuramente ha visto i suoi problemi aumentare proprio per le eccessive attenzioni del babbo . Il capo amava soprattutto avere rapporti orali. Diceva che anche quelli servivano per far passare energia positiva da lui ai suoi discepoli » -Voci? Leggende di S. Patrignano?- « No, io stesso ho visto Muccioli a letto con uno dei suoi ragazzi » -E dov’é oggi?- « E’ morto di Aids » . Ma il principale accusatore di Muccioli é, in questo processo, il carceriere Raimondo Crivellin in comunità noto come Piedini . Ha confessato oltre 500 sequestri di persona compiuti in sette anni di permanenza nella comunità, pestaggi, inseguimenti; alla fine deporrà per quasi cinque ore. « Tutti i giorni inseguivo tossici che scappavano da S. Patrignano. Tutti i giorni ne riportavo. Tutti i giorni ne picchiavo. Tutti i giorni ne rinchiudevo, soprattutto nella cassaforte della pellicceria. Un luogo angusto, senza finestre. Per ogni nuovo ospite Michelone cambiava combinazione alla cassaforte. Ho passato sette anni a S. Patrignano e il mio compito é sempre stato quello. Non sapevo mai la ragione di una punizione: eseguivo ordini di Muccioli » . Piedini agiva insieme a Franchino e Toto, Paro-Paro e Sebastiano, tutti nella squadra punitiva. « Bastava che ci dirigessimo verso qualcuno perché il terrore gli si dipingesse sul viso. Muccioli sa come far sentire importanti, soprattutto le menti semplici. Ha scelto me perché ero un cretino. Ho creduto in Muccioli ciecamente. E ho sbagliato » . E a proposito di un suicidio: « Dopo il primo suicidio, quello di Gabriele Di Paola, Muccioli mi ordinò di portare via i venti ospiti della manutenzione , il carcere della comunità. Di notte con due furgoni e qualche macchina insieme a Toto, Paro-Paro, Sebastiano e Franchino partimmo per la comunità di Botticella (é una comunità satellite di SanPa, ndr). L’obiettivo era far scomparire testimoni scomodi in un periodo in cui la comunità era tenuta d’occhio dalla polizia. Passammo due mesi vivendo da re » . E interrogato sul perché dei sospetti sul suicidio: « Io l’ho visto cadere, ma non so come ha fatto a precipitare per venti metri con la faccia rivolta verso il muro. L’ho sentito gridare “No, no”, ho visto che cercava di aggrapparsi a qualcosa, senza riuscirci. Quando sono corso verso di lui era morto. Il giorno dopo Natalia Berla é scivolata fuori da un finestrino piccolissimo, ma noi eravamo già in montagna a divertirci » . E ancora: « Una volta ho chiuso anche Franco Capogreco in cassaforte. Ha urlato tutta la notte perché soffre di claustrofobia. Quando é uscito era cianotico. Andava punito, ma non lo so perché. Lo dirà lui ai giudici » . Poi é il turno di Paro-Paro, Marco Ghezzo: « Da S. Patrignano sono scappate migliaia di persone. Sono molti di più quelli che scappano che quelli guariti. Lui i guariti li conta ogni volta che escono. Se uno entra tre volte ed esce tre volte vale per tre guarigioni » . Per finire la testimonianza (a mezzo lettera, non é una deposizione) di una ragazza, Elisabetta Di Giovanni che oggi ha ventinove anni e che entrò nella comunità per la prima volta a sedici anni e che é uscita dalla droga solo molto tempo dopo aver lasciato S. Patrignano, con l’aiuto di Don Gino Sacchetti. « Durante la mia seconda permanenza a SanPa in due anni visitai quasi tutti i luoghi di prigionia. Venti giorni in piccionaia, un luogo circolare molto angusto, dipinto di arancione e in discesa, dove ti sentivi letteralmente impazzire. Due mesi al buio nella cassaforte della pellicceria insieme ad un dobermann malato. In un vecchio casolare abbandonato sdraiata e incatenata con tutte e due le braccia alla spalliera del letto. Mi veniva liberato un braccio due volte al giorno per mangiare, mentre per i bisogni fisiologici bastava un secchio sotto il letto. Una chiusura un po’ più soft invece (quattro mesi in camera), la affrontai a causa di Marco Rossetti di Bologna. Malauguratamente chiedemmo a Muccioli il permesso di conoscerci. Dopo qualche mese di mano nella mano, non ne potevamo più e consumammo il turpe gesto. Marco, pentito, corse a raccontarlo al babbo e il risultato per me fu la chiusura dopo un’infinita serie di “gran puttana” in tutte le salse. A lui Vincenzo diede una pacca sulla spalla. Ma la chiusura più terribile, per quanto la più breve, fu una settimana nella botte. Si, un tino vero e proprio, di ferro, dove potevi stare accovacciata e dove una volta al giorno ti passavano il cibo da uno sportellino, il tutto ad un palmo dal solito secchio con gli escrementi. Non avevo ucciso nessuno, ma ben più grave era la mia colpa: ero entrata nella contestazione . Vincenzo aveva rinchiuso, sempre per futili motivi, tre ragazze considerate da tutti ed anche da lui stesso fino a qualche giorno prima, guarite . Consuelo, Martina ed Alice, anche loro contestatarie. Le aveva rinchiuse in un casolare e siccome non soffrivano abbastanza, dopo qualche giorno sospese loro i viveri. Era terribile passare da quel capannone e sentire tutto il giorno le povere tre cantare. Mi sentivo ad Auschwitz. Dopo qualche giorno fece portare Alice, la più fragile delle tre, leggermente handicappata, sul piazzale e, con una macchinetta, le rasò i capelli, tra battute deplorevoli e risate grasse. Alice di Roma riuscì a scappare e la ritrovarono l’indomani morta per overdose in Piazza Tre Martiri. Criticai pesantemente l’operato del mio padre-padrone che mi fece rinchiudere nella botte. …E’ difficile parlare di SanPa. Ci sarebbe troppo e ancora troppo da dire: mille episodi, tutti eloquenti e dolorosi, ma il vero problema é che lo Stato italiano consideri recupero dei tossicodipendenti quello che avviene a S. Patrignano. Alfio Russo? L’ho conosciuto e sarei pronta a giurare che le cose siano andate pressappoco così. Maranzano con le sue fughe rompeva, e Vincenzo ha deciso di metterlo nel settore punitivo: nelle mani di quel pazzo violento, col cervello di un bambino di due anni. Sicuramente ha anche raccomandato ad Alfio di essere particolarmente duro e di farlo scoppiare per bene. Alfio felice, non se lo sarà fatto ripetere due volte e per il povero Maranzano si devono essere aperte le porte dell’inferno. Poi, poi forse una reazione, anche debole, minima ed Alfio ha dato sfogo alla sua furia. Poi succede l’irreparabile e via di corsa dal capo a cercare la soluzione. Soluzione che Vincenzo, scommetto senza scaldarsi più di tanto, ha trovato nella discarica. E’ impossibile, per chi é stato a S. Patrignano credere che Vincenzo non fosse al corrente di tutto. » Io non credo in un aldilà, non so voi; ma se esiste non vorrei essere nei panni del fantasma di Muccioli quando incontrerà quello di Roberto Maranzano.
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Da ilfattoquotidiano che ringrazio, anche se non sempre condivido:
Seguite il profumo del denaro, ascoltate il rumore delle ruspe, controllate lassù dove si muovono le auto elettriche tra gli alberi e le case di quel lager incantato. Così arriverete a San Patrignano, feudo fondato e cresciuto nel nome di Vincenzo Muccioli e, da buon monarca alla romagnola qual era, lasciato nelle mani del figlio che più gli assomigliava, Andrea.
Oggi, quella comunità fondata sul lavoro, il recupero e i milioni di euro di fatturato è senza un direttore e, per la prima volta nella sua storia dopo 33 anni, senza un Muccioli. Andrea è stato messo da parte per volontà di quelli che di San Patrignano sono da sempre i veri azionisti e si chiamano Gian Marco, il fratello ombroso del presidente dell’Inter, e la moglie, l’ex sindaco di Milano, Letizia Moratti. Il motivo per il quale la successione sarebbe stata accelerata è proprio da riportare ai soldi e a una villa – da monarca, appunto – che Andrea Muccioli, all’inizio insieme al fratello Giacomo, veterinario lontano fuggito dagli affari della comunità, si è costruito dentro al fortino di “sanpa”. Tre piani, novecento metri quadri calpestabili e un valore che si aggira attorno ai quattro milioni di euro. Una spesa di mezzo milione di euro solo per le scale e 20 mila euro per un porta telefono in legno di Norvegia. Piccolezze, forse, ma che avrebbero contribuito ad arricchire il buco nel bilancio, fino ad arrivare alla soglia dei 20 milioni, completamente a carico dei Moratti.
Non che i Moratti non lo sapessero. La villa è ben visibile. Ma Andrea, probabilmente, non ha fatto i conti né con le ambizioni di Letizia – oggi già con pieni poteri – né con le 1500 persone che dentro San Patrignano vivono, da quando Vincenzo è morto, e contano, sempre più con prepotenza. Prima il verbo era “muccioliano”. Non si muoveva foglia senza che Vincenzo non lo sapesse. Era lui che, due volte all’anno, usciva nel piazzale e sceglieva, tra gli sguardi disperati delle madri, e spalancava i cancelli. Si entrava così, spesso, a meno che non ci fosse una telefonata influente.
Quei ragazzi, accompagnati per mano dai genitori, lì dentro sono cresciuti e hanno fatto valere il loro peso, fino a spaccarsi in maniera ingestibile: da una parte muccioliani fino alla fine, dall’altra per niente in linea con la continuità, ambiziosi di veder riconosciuto.
“La villa esiste”, spiega il capo dell’ufficio stampa della comunità, Carlo Bozzo, “non è un mistero, era in possesso di Andrea, ma non solo. Posso dire che comunque è all’interno di San Patrignano, dunque verrà utilizzata dalla comunità. Noi in questa fase aspettiamo in silenzio. Siamo convinti che il successore di Andrea, che come responsabile è una figura fondamentale perché la macchina non si inceppi, sarà espressione della comunità stessa, e non un esterno”.
Possibile. Anche se la decisione la prenderà nei prossimi giorni la signora Letizia, alla quale non dispiacerebbe ritagliarsi un ruolo più operativo. In una prima fase, i Moratti stessi, avevano pensato al nome di Mario Azzoni, pranoterapeuta, amico dell’ex sindaco (“ipotesi inverosimile”, dice lui al Fatto), per poi ripiegare su Federico Samaden, ex colonnello di Vincenzo e già responsabile di San Patrignano in Trentino, a San Vito di Pergine Valsugana. Ma chiunque sostituisca Andrea Muccioli sarà il numero due: l’ultima parola la vuole lei, l’azionista Letizia.
Un fulmine a ciel sereno? In parte. La questione sarebbe esplosa in una riunione ‘di famiglia’ tenutasi un mese fa a Coriano. Franz Vismara è stato uno dei ‘colonnelli’ del fondatore di “Sanpa” Vincenzo Muccioli, padre di Andrea: nel novembre del 1994, i tempi in cui “il caso” San Patrignano era tornato al centro delle cronache giudiziarie per la questione dei teste dell’omicidio di Roberto Maranzano, Vismara venne arrestato con l’accusa di falsa testimonianza e depistaggio. Ebbene, nel corso della recente tavola rotonda in quel di Coriano Vismara si sarebbe sfogato di fronte ai Moratti in presenza di Antonietta Muccioli, moglie di Vincenzo. All’origine di tutto, le spese “fuori controllo” a San Patrignano sotto la gestione di Andrea, definito dai detrattori all’interno della comunità non solo un leader “scontroso”, ma un vero e proprio “uomo solo al comando”. A metà 2011, secondo i calcoli di Mismara e soprattutto secondo le indiscrezioni, si sarebbe giunti ad un ‘rosso’ di circa 20 milioni di euro.
L’ultimo “bilancio sociale” parla chiaro: i proventi di tutte le attività (12 milioni di euro) e l’autofinanziamento sono chiamati a coprire i fabbisogni della comunità, a 15 milioni ammontano le donazioni (targate per lo più Moratti), 3,5 milioni sono i contributi degli enti pubblici. In tutto questo, questioni come quella della villa e in generale del ‘buco’, ancora da sviscerare, per i Moratti sono state solo l’ultima goccia. O il pretesto.
Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/09/veleni-ville-milionarie-e-spaccature-a-san-patrignano-inizia-lera-moratti/150534/
Tratto da: Veleni, ville milionarie e spaccature A San Patrignano inizia l’era Moratti | Informare per Resistere http://informarexresistere.fr/2011/08/10/veleni-ville-milionarie-e-spaccature-a-san-patrignano-inizia-l%e2%80%99era-moratti/#ixzz1dL06Swe9
14 gennaio 1986 — pagina 14 sezione: CRONACA
RIMINI - L' hanno sepolto, in gran segreto, ieri mattina verso le 10. Al suo funerale c' erano solo la moglie, i tre figli e qualche amico. Giulio Canini, 41 anni, fino a un anno fa braccio destro di Vincenzo Muccioli, s' era impiccato venerdì sera nel suo laboratorio di pellicceria in via Montefeltro a Rimini. Canini, fino al momento del brusco divorzio, era considerato uno dei principali collaboratori del fondatore della comunità di San Patrignano. Adesso sono in molti a chiedersi le ragioni del suo gesto ma anche i motivi dell' abbandono della Comunità. Muccioli non sa darsi una spiegazione definitiva. Azzarda: "E' probabile un momento di stanchezza o di angoscia dopo il processo. Sa, tutte le accuse del processo lo avevano profondamente scosso". Si riferisce al processone riminese a San Patrignano, conclusosi con la sentenza che ha provocato tante polemiche. Al processo, Canini - sempre molto silenzioso e sempre seduto alla destra di Muccioli - fu condannato a 16 mesi di carcere, la pena più alta inflitta ai 14 imputati, dopo quella di Muccioli, condannato a 20 mesi. Gli altri 12 furono condannati a 14 mesi. Un processo che prese le mosse da una clamorosa incursione a San Patrignano della Squadra Mobile forlivese il 28 ottobre 1980. Nella Comunità vennero trovati diversi ragazzi legati con le catene. E furono arrestati Muccioli e una decina di suoi collaboratori. Fra questi Giulio Canini che nella motivazione della sentenza viene descritto come il "sovrintendente delle catene". "Era lui che, per sua ammissione, teneva costantemente le chiavi". Per Canini la motivazione della sentenza dice anche che "partecipò a quasi tutti gli episodi di segregazione e pressochè a tutti i casi di cattura, anche violenta, dei fuggiaschi". Canini è descritto come il "persecutore di Leonardo Bargiotti", un giovane tossicodipendente trovato legato durante il blitz della polizia poi liberato e successivamente morto per una caduta dal treno. Canini doveva rispondere anche di un' altra accusa, quella di violazione degli obblighi di assistenza familiare. L' aveva denunciato la moglie Maria Teresa Tusino "perchè sempre secondo i giudici - Canini aveva abbandonato la famiglia". "Alle proteste - continua la sentenza - Canini rispose con percosse che provocarono alla consorte lesioni guaribili in 12 giorni". Titolare di un avviatissimo laboratorio di pellicce a Rimini, Canini era amico di Muccioli sin da prima della fondazione della Comunità. Fu accusato anche di far parte del "Cenacolo", un ristretto gruppo di discepoli del capo carismatico di san Patrignano che secondo il tribunale di Rimini, praticava strani riti a metà fra "la magia, il misticismo e la superstizione". Sta di fatto che Canini, quando Muccioli fondò San Patrignano, trasferì il suo laboratorio di pellicceria all' interno di San Patrignano. E' proprio Canini il protagonista della crescita e del prestigio del laboratorio diventato uno dei "gioiellini di San Patrignano". Dopo qualche mese, nonostante la denuncia, la moglie e i tre figli lo raggiunsero in Comunità. Ma, un anno fa, nel gennaio 85, prima la moglie con i figli poi Giulio Canini abbandonarono San Patrignano. Nè lui, nè Muccioli vollero mai parlare dei motivi dell' abbandono. Qualcuno azzarda una spiegazione tutta familiare: "Giulio voleva mantenere i rapporti con la moglie e assolvere ai suoi doveri di padre". Cosa sia maturato in questo anno di lontananza da San Patrignano, nessuno lo sa o, almeno, al momento, nessuno vuol dire. - di EROS DOMENICONI