28.11.10

Disturbi Bipolari

DISTURBI BIPOLARI 
La depressione e l'ansia associata rilevata nei soggetti, spesso non viene associata a un disturbo di tipo
 bipolare, il cui tipo II è molto frequente, per la mancanza di una analisi puntuale o della possibilità di effettuare una analisi valida, dovuta a imprecisione del paziente nel ricordare e descrivere situazioni sintomatiche riguardo a precedenti episodi di ipomania. Sappiamo oggi che la depressione unipolare è spesso un aspetto raro, in quanto la maggior parte degli episodi depressivi, maggiori o minori, sono inseriti in quadri di Disturbo Bipolare Tipo II.
L'ipomania non è spesso riferita dal soggetto perché ha coinciso con un momento di benessere, di eutimia, fiducia in se stesso, alta autostima, maggiore attività e incremento di creatività, ma anche in compulsione, aumento della loquacità, aumento dei comportamenti legati ad aspetti ludici e spesso futili, solo per citare alcuni aspetti concomitanti dell'ipomania. Di solito può accompagnarsi anche a superficialità del pensiero, scarsa valutazione delle conseguenze di azioni, impulsività e anche a reazioni aggressive, a volte di certa gravità.
Il disturbo bipolare comprende una diversa graduazione, per cui possiamo distinguere la sua forma più severa, quando si presenta un quadro clinico con un chiaro e franco episodio maniacale oppure con un chiaro episodio o diversi episodi ipomaniacali. In tal caso siamo nel DB tipo I, nel primo caso, Tipo II nel secondo. Spesso però, non è possibile rintracciare episodi ipomaniacali ma solo oscillazioni patologiche dell'umore, che fanno pensare a un quadro di tipo distimico, se è presente più l'aspetto depressivo o ipertimico, se è presente una maggiore e frequente elevazione dell'umore oltre quella che è normale per il soggetto. Comunque, si può parlare in questi quadri più sfumati di Ciclotimia o anche di Distimia.
Quello che caratterizza i pazienti più nettamente bipolari è il deficit di serotonina e spesso si rinviene nelle analisi del sangue una carenza di folati. L'acido folico, è un componente importante della catena che porta alla sintesi del neurotrasmettitore serotonina, e quando emerge una sua carenza libera, cioè extra cellulare, può essere utile fornire un supplemento di questo importante aminoacido, da almeno 200 fino a 500 mg al giorno, oltre alla dieta, può concorrere alla sintesi di maggiori livelli di serotonina (che si trova accumulata nel 95% a livello dell'intestino e poi trasferita al cervello, tramite un carrier, che anch'esso può essere in deficit o poco funzionale).
In generale, solo a titolo precauzionale, se si sospetta un malassorbimento e si evidenziano chiari deficit di folati, ricorrere a una integrazione con un multivitaminico del complesso B e a una specifica integrazione di acido folico può essere molto opportuno.
Da it.wikipedia.org : L'acido folico ha nella terapia della depressione un ruolo confermato da recente ed autorevole letteratura scientifica. L'acido folico, infatti è noto, essere fondamentale per la sintesi dei principali neurotrasmettitori: Noradrenalina, Serotonina e Dopamina, che sono carenti in corso di depressione. La carenza di Acido folico è associata con le manifestazioni della depressione , specie quella caratterizzata da deficit cognitivi. L'uso dell'Acido Folico secondo diversi autori può trovare un vantaggioso utilizzo nei casi di: sintomi iniziali, in caso di remissione parziale, in pazienti con sintomatologia residua, o come terapia di potenziamento insieme alle terapie farmacologiche a base di antidepressivi.

Il quadro della Depressione è di solito assai più facilmente diagnosticato perché riferito con maggiore precisione e ogni studente vorrebbe imbattersi in pazienti con una tale esplicita dimensione sintomatologica, sia per la facilità della diagnosi che per la terapia. Eccone una sintesi:

Sintomi della depressione

I disturbi dell'umore sono un insieme di sintomi e segni clinici che colpiscono la sfera emotiva del paziente depresso e che possono essere accompagnati da sintomi somatici fisici.Una delle motivazioni più frequenti per cui le persone si rivolgono al medico è legata alla presenza appunto di questi ultimi.

I sintomi emotivi includono:

umore depresso e perdita d'interesse/piacere per quasi tutte le attività (anedonia)
cambiamento dell'appetito o del peso
alterazioni del ritmo sonno veglia
perdita di energia
sensi di colpa
difficoltà di concentrazione
ricorrenti pensieri suicidari, autolesionismo e suicidio
cambiamenti del desiderio sessuale
presenza di agitazione
senso di frustrazione
negativizzazione delle circostanze
mancanza di controllo degli impulsi
demotivazione

Tali sintomi possono essere accompagnati da
sintomi somatici

perdita d'energia
disturbi del sonno
lamentele fisiche quali mal di testa, dolore allo stomaco, dolori articolari, addominali o altri tipi di dolore
affaticabilità
sintomi di tensione muscolare
mal di testa


Sebbene la maggior attenzione nel trattamento della depressione venga posta sui sintomi emotivi, è da tempo accettato che molti pazienti focalizzano le proprie lamentele sui sintomi somatici e dolorosi. Ricerche recenti hanno dimostrato infatti che il 40-50% dei pazienti con depressione maggiore hanno in associazione dei sintomi fisici dolorosi e cronici.
I sintomi depressivi possono essere persistenti e talvolta gravi, così da interferire con la capacità individuale di svolgere le normali attività giornaliere come lavorare, studiare, mangiare, dormire ed apprezzare attività ritenute precedentemente piacevoli.
Molto spesso, il quadro depressivo tende a una sua risoluzione spontanea, o parziale remissione ma persistono dei residui, cioè il funzionamento della persona non è più uguale a quello di prima dell'episodio, e c'è tendenza, se non curati, alla loro ripetizione (ricorrenza). La ricorrenza può essere preceduta nei casi bipolari da una fase espansiva dell'umore, ipertimica o ipomaniaca, cui poi, a seconda della durata della ciclicità, segue l'episodio depressivo. A volte la fase eutimica o ipomaniaca possono durare molti mesi o anche anni, come pure la fase depressiva. Quindi, se andate dallo specialista per sintomi depressivi, cercate di ricordarvi bene se in precedenza avete avuto un periodo di benessere e umore elevato, senso di alta autostima, che confliggono con il vostro usuale stato magari più contenuto e dimesso, al fine di evitare una cura antidepressiva che porti poi verso una risposta disforica o di tipo ipomaniacale.

Un esempio. Marina da tempo lamenta strani mal di testa, senso di vertigine, che poi scompare dopo poco, sensazioni di bruciore e formicolii agli arti e al tronco, senso di alternanza di caldo e freddo, insonnia, dispepsia, aerofagia, e dolori persistenti alle spalle e alle gambe. Dopo gli opportuni esami di routine, tutti negativi, giunge all'attenzione di uno psichiatra esperto, che diagnostica una fase depressiva, con sintomi somatici., con enorme sorpresa di marina, convinta di essere tutto meno che depressa. Terapia: Duloxetina, ansiolitici alla sera e acido valproico in bassa dose, con probabile rivalutazione a distanza di un mese per la formulazione di disturbo bipolare tipo II, sospettato ma non ancora rilevato con certezza. Dopo un mese, dolori diminuiti, qualche parestesia, ancora presenza di ansia, con minori difficoltà a dormire. Si decide di continuare la terapia, alzando lo stabilizzante, con miglioramento ulteriore del sonno e dolore. Persistono (forse per gli effetti anticolinergici) i disturbi della digestione.

Purtroppo, molti pazienti, tendono a sperimentare con dolore cronico agli arti e muscoli, per molti anni, prima di giungere alla corretta diagnosi di Disturbo depressivo (uni o bi polare). Infatti, circa il 30% dei pazienti con depressione, riporta solo sintomi fisici, quali dolori cronici e insonnia, senza alcuna particolare disfunzione psico-sociale.
E’ noto che l’ottanta per cento dei pazienti che hanno avuto due episodi di depressione rischiano di avere altri episodi, entrando nel tunnel della cosiddetta depressione ricorrente. Ecco perché è importante il trattamento a lungo termine.

Ed ecco perché la depressione deve essere considerata una patologia molto frequentemente cronica come l’ipertensione e il diabete. Il depresso deve convincersi, e con lui il medico, che per star bene deve curarsi tutti i giorni e per tempi adeguati. Lo studio con la venlafaxina a rilascio prolungato è durato due anni e ha coinvolto oltre mille persone, in tutto il mondo Italia compresa. Nel 92 per cento dei pazienti trattati a lungo termine con la venlafaxina a rilascio prolungato non ci sono state crisi per i due anni. E’ già un traguardo eccezionale, vedremo cosa accadrà nel proseguo del tempo. Particolare importante: la venlafaxina a rilascio prolungato in questi pazienti, nei due anni, ha mostrato effetti collaterali comparabili al placebo”.

“Quando un paziente depresso viene adeguatamente curato – spiega il professor Riccardo Torta, Direttore della Struttura Complessa di Psicologia Clinica e Oncologia dell’Università di Torino,– in pratica è guarito dall’episodio. Però questa guarigione può non essere totale e cioè il depresso ha ancora sintomi che solo apparentemente sono banali. Infatti può conservare un certo distacco dalla famiglia, dal mondo del lavoro, così come lamentare sintomi somatici. Lo studio con la venlafaxina a rilascio prolungato presentato a Toronto ha dimostrato che trattando il paziente depresso per lungo tempo con questo farmaco, scompaiono anche quelli che sono i sintomi somatici residui. La terapia attuale con i farmaci selettivi, e cioè che agiscono su un solo neurotrasmettitore, precisamente la serotonina, non hanno quello spettro di azione che ha invece la venlafaxina a rilascio prolungato e quindi non possono contrastare i sintomi. La venlafaxina a rilascio prolungato non solo contrasta questi sintomi ma li fa anche scomparire”.

Lo studio sulla venlafaxina a rilascio prolungato si contrappone ad un dato allarmante: nel 2020 la depressione sarà la seconda causa di malattia in tutto il mondo, Italia compresa, secondo le previsioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. “I trend epidemiologici sulla depressione in Italia – afferma il professore Massimo Di Giannantonio, Ordinario di Psichiatria all’Università “D’Annunzio” di Chieti,– seguono studi e ricerche OMS che indicano un costante aumento. Nel 2020, al primo posto ci saranno le malattie cardiovascolari, al secondo tutte quelle provocate dalla depressione. Un trend che si spiega con l’aumento generalizzato della vita media, che comporta di conseguenza un aumento del rischio depressivo per la popolazione in generale. I problemi principali nel caso della depressione sono due: o non viene diagnosticata o lo è ma in maniera inadeguata. Se poi si supera la barriera della mancata diagnosi, c’è un trattamento inefficace, e comunque esiste una difficoltà a fare la diagnostica differenziata sui diversi tipi di depressione. Molte terapie, infine, sono interrotte prima di quella che noi chiamiamo “remissione”, ovvero la forma di restitutio ad integrum delle funzionalità del sistema nervoso del paziente. Tutti questi fattori combinati insieme spiegano questo trend in crescita”. “A volte la depressione può essere considerata e quindi trattata come malattia cronica, in altri casi no. Le statistiche – spiega in una nota ai Media il professor Paolo Pancheri, Ordinario di Psichiatria all’Università La Sapienza di Roma – dicono che se una persona ha avuto un episodio depressivo ha il 50 per cento di probabilità di averne un altro nell’arco della sua vita. Questo significa che metà delle persone che hanno avuto un episodio depressivo, una volta guariti, poi stanno bene per sempre. Se l’individuo ha avuto due episodi depressivi, la probabilità che ne abbia un terzo nel tempo sale al 75 per cento. Questa percentuale raggiunge il 90 per cento se la persona ha avuto tre episodi depressivi.
Quando gli episodi depressivi diventano quattro o cinque o di più, è praticamente sicuro che avranno altri episodi. Le statistiche danno i numeri ma non indicano i tempi che possono intercorrere fra un primo episodio di depressione e un secondo. Naturalmente, va interpretato alla luce di questo elemento il concetto di malattia cronica. Il concetto di malattia cronica, in una malattia che va ad episodi, è diverso dal concetto di malattia cronica rispetto ad altre patologie anche queste croniche, come l’ipertensione o il diabete. Se una persona ha avuto un unico episodio che è stato curato, la cura si protrae anche nel periodo di benessere ma poi, questa è la prassi, va interrotta. Se la persona ha avuto diversi episodi e l’intervallo libero è breve, allora certamente la sua depressione va curata in continuazione, si tratta della cura di mantenimento”.
N.B. Oggi alla Venlafaxina (efexor) si preferisce la Duloxetina (Xeristar).
http://ansia-depressione.sirius.pisa.it/AD/informazioni/mappad/MappaT2DEP.html

Correlazioni tra carenze di Acido folico e disturbi psichiatrici.

In psichiatria, in generale, la carenza di acido folico è correlata a diversi disturbi psichiatrici. Le cause, anche per motivi genetici, sono da ricondurre ad un deficit dei folati plasmatici come spesso evidenziato nei pazienti psichiatrici. Inoltre, nei pazienti psichiatrici generalmente i sintomi sono più gravi in coloro che mostrano una carenza di acido folico plasmatico. Spesso l'uso di farmaci che diminuiscono l'assorbimento dell'acido folico, come l'acido valproico o il litio sono causa di iperomocisteinemia patologica. La carenza di acido folico, inoltre, determina una deficit di un suo metabolita: S-adenosilmetionina, che ha un ruolo cruciale nei meccanismi biochimici di formazione dei neurotrasmettitori cerebrali e non solo questi. Secondo diversi autori una certa percentuale di pazienti psichiatrici potrebbero trovare giovamento dalla terapia a base di acido folico.

Schizofrenia
Tra le cause fisiopatologiche note della schizofrenia correlate ad un deficit e/o alterata funzione dell'acido folico vi sono: alterazioni della metilazione del DNA, anormalità nella trasmissione glutaminergica, alterazioni della funzione mitocondriale, deficit di folati e iperomocisteinemia materna.

Una recente ricerca ricerca indica una correlazione tra l'aumento di IL-6 e TNF-α con i livelli di omocisteina patologici dovuti alla mutazione genica C577>T dell'enzima MTHFR.

Goff, et al. 2004 mettono in relazione la comparsa della sintomatologia schizofrenica con un deficit di attività della glutamato carbossipeptidasi II (GCPII), enzima chiave per l'assorbimento dell'acido folico [138]. Mentre, un gruppo di ricerca del Massachusetts General Hospital and Harvard Medical School, di Boston, mette in relazione i sintomi negativi della schizofrenia con il deficit di acido folico dovuto al deficit dell'enzima MTHFR.

L'uso dell'acido folico nell'ambito della terapia complementare e alternativa (CAM), sembra avere un ruolo definito e interessante, certamente meritevole di ulteriori sviluppi di ricerca.

Recentissimi studi (aprile 2010) indicano il ruolo della carenza dell'acido folico nella genesi dei sindomi della schizofrenia in soggetti di madri con una bassa folatemia circolante durante il periodo periconcezionale.
Depressione

Stato dell'arte scientifico [modifica]
Ad agosto 2010 sono n. 445 in totale le pubblicazioni (tutti i tipi) che correlano l'acido folico con la depressione, con n. 1 Linea Guida; n. 6 metanalisi; n. 19 RCT (Random Clinical Trials) di questi sono n. 9 quelli condotti dopo il 2004 ; n. 91 sono i lavori di tipo review e di questi sono n. 2 quelli prodotti fino ad agosto 2010.

L'acido folico ha nella terapia della depressione un ruolo confermato da recente ed autorevole letteratura scientifica. L'acido folico, infatti è noto, è fondamentale per la sintesi dei principali neurotrasmettitori: Noradrenalina, Serotonina e Dopamina, che sono carenti in corso di depressione. La carenza di Acido folico è associata con le manifestazioni della depressione, specie quella caratterizzata da deficit cognitivi. L'uso dell'Acido Folico secondo diversi autori può trovare un vantaggioso utilizzo nei casi di: sintomi iniziali, in caso di remissione parziale, in pazienti con sintomatologgia residua, o come terapia di potenziamento. insieme alle terapie farmacologiche a base di antidepressivi.

Secondo un recente studio giapponese il basso livello di folati circolanti è causa di depressione negli uomini.

Uno studio australiano randomizzato in doppio cieco (RCT) condotto su 300 anziani documenta del miglioramento della risposta all'antidepressivo citalopram aggiungendo 2 mg di acido folico insieme ad altre vitamine del gruppo B.

Una importante Linea Guida del 2009 della British Association for Psychopharmacology guidelines, sostiene l'importanza di correggere lo stato della folatemia plasmatica dei pazienti depressi perché è noto che: il basso livello dei folati plasmatici riduce la risposta agli antidepressivi, e la supplementazione con acido folico migliora la risposta agli stessi antidepressivi pur con meccanismi non meglio noti (Grado di evidenza II).

Nel gennaio del 2010 si è concluso uno studio australiano: il The B-VITAGE trial che ha coinvolto oltre 300 pazienti anziani affetti da depressione maggiore secondo il DSM IV. Il protocollo prevedeva l'aggiunta alla terapia antidepressiva a base di citalopram (20-40 mg) con vitamina B12 (0.4 mg) più B6 (25 mg) e acido folico (2 mg), oppure il placebo. Lo studio conclude sostenento che la supplementazione vitaminica migliora la risposta all'antidepressivo.

Questo dato viene confermato successivamente da Skarupski KA, et al., 2010, su una popolazione di anziani che sono stati seguiti per oltre 7 anni, dimostrando il ruolo preventivo della supplementazione con folati e vit. del gruppo B.

Lazarou et al., 2010, fatto un riesame della letteratura scientifica prodotta fino all'agosto del 2010 sostiene che pur non potendo suggerire di routine la supplementazione nei soggetti con depressione o disturbi dell'umore, questa può essere consigliata singolarmente ai soggetti con deficit di folati ematici o nei soggetti non responders alle comuni terapie antidepressive.

Un'analisi dettagliata delle n. 6 metanalisi ci da alcune certezze circa l'impiego dell'acido folico nei pazienti con disturbi dell'umore.

La ricerca di Taylor MJ et al. del 2004 conclude dicendo che: le evidenze disponibili sono limitate ma queste suggeriscono l'acido folico può avere un ruolo potenziale come terapia complementare insieme ad altri trattamenti per la depressione. Oggi, però, non è chiaro se questo vale per le persone con normali livelli di folati circolanti o per quelle con deficit di folati.
La ricerca di Kuo HK et al. del 2005 conclude dicendo che: l'acido folico decresce i livelli di iperomocisteina che sono associati ad una serie di patologie della terza età tra cui la depressione.
La ricerca di Lewis SJ et al. del 2006 conclude dicendo che: il deficit genetico causato dalla mutazione del gene che codifica la variante termolabile dell'enzima MTHFR CC677TT, dal momento che questo genotipo influenza il funzionamento della via metabolica dei folati, potrebbe il folato o di suoi derivati essere causalmente correlati a rischio di depressione.
La ricerca prima di Gilbody S et al. del 2007 conclude dicendo che: la meta-analisi condotta dimostra un'associazione tra la variante MTHFR CC677TT e la depressione, la schizofrenia e il disturbo bipolare, indicando la possibilità di utilizzo dell'acido folico nella terapia e prevenzione di queste patologie psichiatriche.
La ricerca seconda condotta da GildodyS et al. sempre del 2007 conclude dicendo che: i livelli di folato sono più bassi nei soggetti con depressione. Ci stanno accumulando prove scientifiche che il basso status di folati è associata con la depressione. Gran parte di questa prova viene da studi di caso-controllo. Occorrono però studi di coorte e soprattutto RCT studi randomizzati controllati per verificare il beneficio terapeutico dell'acido folico, essi confermeranno o smentiranno l'eventuale relazione causale.
Infine la ricerca di Almeida OP et al. del 2008 conclude dicendo che: Esiste una relazione di tipo triangolare tra genotipo MTHFR, livelli di omocisteina e depressione, più elevati sono livelli di omocisteina più aumenta il rischio di depressione. La diminuzione dello 0,19 mg/L di omocisteina del siero potrebbe ridurre del 20 % la probabilità di depressione. Servono però ulteriori dati che confermino come la relazione tra omocisteina e depressioen sia veramente causale.

Disturbo Bipolare

Ricerche suggeriscono che una riduzione dei folati negli eritrociti si verifica in entrambe le fasi dei disturbi bipolari. Si riconoscono due cause di alterazioni dei livelli di acido folico nei pazienti affetti da disturbo bipolare:

Le mutazioni genetiche dell'enzima MTHFR (Metil-tetraido-folato-reduttasi), che che trasforma l'acido folico in acido folinico, sembrano essere implicate nella genesi del disturbo, come conseguenza dell'aumento patologico dei livelli di omocisteina e una conseguente diminuzione dei folati circolanti nel plasma di questi pazienti.
L'uso di acido valproico ed altri farmaci stabilizzanti dell'umore è ben noto, crea seri problemi di prevenzione di malformazioni congenite nelle donne fertili affette da disturbo bipolare; problemi che possono essere prevute con dosaggi elevati di acido folico.
Alcolismo
Per approfondire, vedi la voce alcolismo.

L'alcolismo per vari motivi crea stati carenziali di vitamine del gruppo B, e pertanto anche dell'acido folico.

In un Simposio sul ruolo della (SAME) S-adenosilmetionina, della betaina, e dei folati nel trattamento della malattie alcool correlate ALD, simposio organizzato dal National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism in collaboratione con l'Office of Dietary Supplements and the National Center for Complementary and Alternative Medicine of the National Institutes of Health di (Bethesda, MD) in data 3 ottobre 2005. In questo simposio sono emerse importanti conclusioni scientifiche.

Il deficit di folati può accelerare o promuovere le malattie alcool correlate ALD per l'incremento della concentrazione dell'omocisteina epatica e della S-adenosilomocisteine (SAH); inoltre vi è anche un decremento del glutatione, della SAME e del rapporto SAME/SAH, per una sovraregolazione dei marker da stress del reticolo endoplasmico, con un incremento di importanti geni pro-infiammatori come: l'AP-1 e il gene caspasi-12 e con decremento della complessiva DNA-metilazione.

Inoltre, si ha anche un incremento della perossidazione lipidica con un incremento nella circolazione delle VLDL. La correzione dell'incremento di omocisteina patologica determina un'attenuazione dei fenomeni di apotosi e della sintesi di Ac. grassi.

Il deficit di acido folico viene attribuito a 3 cause:

diminuzione dell'apporto con la dieta di cibi ricchi di acido folico,
diminuzione dell'assorbimento intestinale di acido folico per deficit dei trasportatori di membrana degli enterociti,
diminuzione dei depositi epatici di acido folico e parallela perdita per via uriaria dello stesso.
Le conclusioni della ricerca invitano a verificare sull'uomo, con opportune ricerche, la possibilità di limitare le ALD con l'uso dell'acido folico e/o del suo metabolita SAME.

Autismo

Costituiscono fattori di rischio episodi familiari di autismo o di altri disordini pervasivi dello sviluppo,[176] si ha un alto rischio in caso di parto pretermine econ un peso, alla nascita, notevolmente inferiore la media.

In effetti, esiste una certa letteratura scientifica che correla l'autismo con il deficit gestazionale di tipo nutrizionale e/o genetico di acido folico, ed inoltre lavori recenti suggeriscono un ruolo terapeutico per l'uso di questa vitamina  nei soggetti autistici.

Secondo Currenti della New York State University, tra i fattori che nel tempo sono stati sospettati come ipotetica causa di autismo, vi sarebbero: autoanticorpi materni, infezioni gestazionali, esposizone a metalli pesanti, fattori epigenetici, vaccinazione antirosolia, morbillo, parotite, esposizione a campi elettromagnetici . Una recente review fatta su 18 studi diversi indica che non può essere fatta con certezza una correlazione tra deficit di acido folico durante la gravidanza come etiologia dell'autismo, cosi come è da verificare con studi fatti appositamente, se la correzione del deficit di acido folico possa essere di giovamento in bambini con autismo.

In una indagine epidemiologica, condotta su 111 bambini autistici cinesi dai 2 ai 9 anni, mostra che una minoranza di essi avevano una correlazione con deficit di alimentari, però la maggior parte di essi aveva deficit con le RDI (Dosi giornaliere raccomandate) delle vitamine: A, B6 e C, acido folico, calcio e zinco; rivelando questo deficit di assunzione una correlazione con il disturbo autistico.

A cura del
Dott. Alfredo Lorenzi
psicologia infantile e dell'adolescenza
Neuroscienze dello sviluppo
338 9088110
alfredolo501@libero.it
Laurea in Psicologia indir. Sviluppo infantile - Firenze
Laurea in Biologia indir. psicofisiologico - Pisa
Area dei ritardi e disturbi pervasivi di sviluppo materno infantile
Visiting research at Davis Institut Ucla - California
Host and referee at many course and workshops on neurosc.
Autore di studi e rcensioni, e di un volume in inglese:
Violent Behavior Psychology, 2005 Amear NY.