2.2 Percorsi della violenza giovanile
L'aggressività è uno stato emozionale accompagnato da output comportamentali di tipo verbale e/o fisico, mirante ad aggredire un bersaglio, che solo nella nostra specie può coincidere con lo stesso individuo.
Violenza è una modalità di comportamento aggressivo, prevalentemente fisico, diretto verso l'ambiente o autodiretto e diversamente graduato in intensità (Hoffman e Lorenzi, 2003). Può comprendere aggressività verbale, accompagnata o meno da gesti, oppure consistere di azioni dirette sul bersaglio.
La sua applicazione può essere:
diretta, quando incide direttamente sulla vittima;
indiretta, quando consegue effetti agendo sull'ambiente ma non direttamente sulla vittima.
Ad esempio, impedire che una persona in pericolo, chieda aiuto, recidendo i cavi del telefono, rappresenta una violenza indiretta. Causare involontariamente un incidente automobilistico e non fermarsi a prestare soccorso, né chiamare aiuto, non è violenza. Causare deliberatamente l'incidente e allontanarsi, rappresenta una tipica violenza diretta.
Infine può derivare da:
impulsività, quando emessa in relazione a cause presenti nel set ambientale;
pianificazione, quando segue una progettazione che prescinde dallo stato del set. Ad esempio, sferrare un pugno durante un alterco è violenza impulsiva mentre provocare un alterco per colpire l'interlocutore, è violenza pianificata.
Seguendo gli studi nordamericani, si introducono alcune definizioni e concetti preliminari. Una prima distinzione è tra:
comportamenti violenti non gravi (violent acts), quali furti, insulti, risse tra coetanei, danneggiamenti non gravi;
comportamenti altamente violenti (serious violent acts), comprendono rapine, aggressioni fisiche con lesioni gravi, devastazioni, stupro e omicidio, anche con armi.
In relazione al contesto ambientale in cui si realizza l’azione, si distingue:
violenza in ambito domestico;
violenza in ambito extra familiare (scuola, gruppo dei pari, lavoro).
A seconda della gravità degli atti compiuti, gli autori (offenders) sono classificati in:
violenti non gravi (no serious violent offenders, NSVO), si caratterizzano per l'emissione di almeno tre atti violenti non gravi (Hoffman e Lorenzi, 2003);
altamente violenti (serious violent offenders, SVO), sono caratterizzati dall'emissione di almeno un atto gravemente violento entro la seconda decade di vita.
violenti cronici (chronic violent offenders, CVO), quando emettono almeno tre atti di grave violenza.
Questa classificazione correla anche con il percorso della violenza durante lo sviluppo individuale; in particolare sono state descritte due traiettorie di inizio dei comportamenti violenti (D'Unger, 1998):
inizio precoce o prepuberale, compreso tra i 6 e i 12 anni
inizio in adolescenza, compreso tra i 13 e 17 anni.
I due gruppi si differenziano per la gravità e persistenza dei comportamenti violenti, dove, nella traiettoria precoce sono ricompresi i soggetti che, oltre ad un esordio precoce, si caratterizzano per atti più gravi in adolescenza e con maggiore persistenza, reiterandoli anche nella terza e quarta decade di vita, divenendo CVO (Tolan,1987). I ricercatori concordano sulla scarsa possibilità di individuare precocemente i SVO, perché i comportamenti altamente violenti sono emessi prevalentemente nel corso dell'adolescenza; inoltre, mostrare impulsività e aggressività in infanzia, non implica una maggiore probabilità di divenire violenti in adolescenza, dove molti violenti non avevano mai mostrato comportamenti decisamente impulsivi o aggressivi durante le scuole dell'obbligo.
La prevalenza rispetto all'età di inizio è massima tra 12 e 20 anni, con picco a 16 e si attesta tra 10% e 15% ; dopo il compimento di 22-23 anni è raro constatare inizio di atti violenti, per quanto non altrettanto si possa affermare riguardo a comportamenti devianti, come uso di droghe, che possono iniziare anche dopo i 30 anni.
I ricercatori (Elliot et al., 1989 ; Huizinga et al.,1995), sono concordi nell'osservare che i soggetti con all'attivo tre o più atti gravemente violenti, CVO, sono responsabili di più dell' 80% di tutti i crimini violenti; inoltre sono autori del 75% di tutte le azioni devianti, anche se non necessariamente violente, quali uso di droghe, spaccio, furti, risse, giochi e comportamenti rischiosi.
La carriera violenta, cioè il numero di anni in cui un individuo emette atti violenti, si attesta su una media compresa tra 1,5 e 2,5 anni. Quanto al declino ed estinzione dei comportamenti, dagli studi longitudinali (Huizinga, 1995 e 1998),emerge una notevole riduzione nel passaggio alla terza decade di vita, e conseguente ingresso nell'età adulta. Più del 90% dei soggetti ad esordio tardivo mostra di non emettere più comportamenti violenti entro cinque anni dall'inizio, mentre quelli ad esordio precoce li cessano nei due terzi dei casi.
Complessivamente, entro cinque anni dall'esordio, circa l'1.5% dei soggetti persiste nelle condotte violente, specie gravi, significando che un numero elevato di atti altamente violenti sono emessi, in un arco di tempo dato, da un nucleo ristretto di soggetti, costituente un “nocciolo duro”, in prevalenza composto dai SVO divenuti nel frattempo CVO e da un numero di soggetti occasionali o con traiettorie di esordio atipiche. Per riassumere e approssimando: i due terzi degli atti altamente offensivi sono reiterati da una modesta quota di individui, costituente il nocciolo duro, all'interno del quale si delinea un nucleo ancora più stabile, costituito dai violenti cronici, nel quale trovano posto molti violenti caratterizzati da disturbi e compulsioni sessuali, quali pedofili, stupratori e in genere i criminali seriali.
Un' ultima considerazione è relativa alla componente di individui stranieri, sia comunitari che extracomunitari, che emettono comportamenti violenti. Nei paesi europei ad alto tasso di immigrazione, la quota di azioni violente con lesioni di varia gravità, fino alla morte, commesse da immigrati e più in generale da stranieri e clandestini, si approssima al 50% del totale, gli omicidi e i tentati omicidi si attestano su valori del 35%, mentre rapine violente, stupri e risse gravi, su valori del 55% del totale. Considerando che questi soggetti rappresentano una quota di popolazione che, a seconda del tasso di immigrazione dei vari paes, si attesta tra il 5% e il 10% di tutti i residenti, si osserva che tale campione minoritario, racchiude un potenziale serbatoio che concorre pesantemente ad innalzare il tasso di violenza complessivo dei paesi occidentali.
I CVO attuano anche altre condotte, per quanto non intrinsecamente violente, con incidenza nettamente superiore ai violenti non gravi, provenienti dal percorso tardivo. Una quota consistente attua crimini contro la proprietà, assenze da scuola, uso di sostanze, particolarmente alcol e spinelli, intraprendono attività sessuale precoce, anche di tipo mercenario, condotte a rischio, come guida spericolata e giochi d'azzardo. Quelli che agiscono in gruppo si sono rivelati maggiormente vulnerabili all'uso di sostanze e ad essere fatti oggetto a loro volta di atti violenti (Lauritsen,1998).
Dai questionari emerge che i CVO, più dei NSVO e dei non violenti, condividono un tasso più elevato di genitori che si sono rivolti ai servizi pubblici per ricevere aiuto per problemi mentali, inoltre il 30% dei CVO risulta positivo, ai questionari generali, per disturbi mentali, quali depressione, aggressività, iperattività e isolamento sociale. In aggiunta, più del 35% mostra positività per disturbi della personalità, particolarmente quelli dello spettro schizofrenico e ossessivo-compulsivo. Per contro i NSVO hanno tassi dimezzati, mentre i soggetti non violenti, per quanto devianti, li hanno ridotti a un quarto, cioè presentano valori di poco superiori alla media della popolazione.
2.2.1 Fattori di rischio
Un fattore di rischio è una variabile personale o ambientale che incrementa la probabilità che un soggetto emetta comportamenti violenti. Ogni fattore ha un suo peso specifico e può associarsi ad altri in un effetto sinergico, rendendo difficile stabilire la sua portata causale e predittiva. Questa è alta, quando un soggetto presenta più fattori di rischio o almeno tre dei fattori più pesanti, durante lo sviluppo.
Il peso dei fattori cambia in relazione all'età, così sono stati considerati separatamente per l'infanzia (6 – 11 anni) e per l'adolescenza (12 – 17 anni), anche se gli effetti si manifestano prevalentemente tra 14 e 18 anni. Conoscere i fattori determinanti rimanda alle conoscenze delle cause, con le conseguenti aspettative di predisporre programmi efficaci di intervento per la prevenzione e il recupero. Si segnala infine, che dal momento che i fattori derivano da campioni molto grandi, si devono parimenti riferire a gruppi omogenei per caratteristiche specifiche, più che al singolo individuo.
La classificazione di Lipsey e Derzon, derivata da una meta-analisi di numerosi studi, suddivide i fattori di rischio in cinque ambiti che riflettono i differenti livelli su cui agiscono:
individuale, racchiude i fattori biologici e le caratteristiche psicologiche: sesso, età, Q. I., condizioni fisiche e psichiche;
familiare, include le relazioni con i genitori e gli altri componenti del nucleo familiare, litigi e separazioni dei genitori, livello economico e di integrazione della famiglia;
scolastico, si riferisce al livello di integrazione e al successo scolastico;
gruppo dei pari, si considerano le qualità delle relazioni con i coetanei;
vicinato, comprende la qualità delle relazioni con i vicini e le caratteristiche dell’ambiente di vita. In questo lavoro, sono considerati solo i fattori che hanno mostrato una correlazione ampiamente significativa, almeno con r = 0.2; correlazioni inferiori sembrano caratterizzare fattori generici e di scarso peso, per quanto spesso associati ai principali.
2.2.1a Fattori di rischio in infanzia
L'infanzia si caratterizza per la formazione di legami affettivi stabili con i genitori e gli altri adulti di riferimento, per la percezione di sé, come individualità separata dal mondo e dalle altre figure, con propri pensieri ed emozioni. La ricerca di vicinanza e contatto fisico, caratterizza il piccolo di scimpanzé; gli esperimenti dei coniugi Harlow, durante gli anni '50, dimostrarono che il piccolo ricerca il contatto e il calore della madre, definito “ benessere da contatto”. Muovendo da queste conoscenze, J. Bowlby (1969, 1973 e 1983) ha formulato una teoria dell' attaccamento del neonato alla madre basata su modalità precoci di interazione, che riflettono la formazione di schemi cognitivi, denominati “schemi operativi interni”, che includono conoscenze di sé e dell'altro e le risposte e atteggiamenti ricevuti dalla madre, in relazione al bisogno di contatto.
Gli stili individuati dagli esperimenti di Ainsworth, basati su semplici schemi di separazione e ricongiunzione del neonato alla madre, sono quattro:
attaccamento sicuro, con proteste alla separazione che cessano al ricongiungimento;
evitante, indifferenza alla separazione e al ricongiungimento alla madre;
resistente, o ansioso, con proteste continue, aggressività non confortate dal ricongiungimento;
•disorganizzato, con comportamenti ambivalenti alla separazione e al ricongiungimento, come correre verso la madre ma non guardandola mai in viso.
La strutturazione dei differenti patterns di attaccamento è stata correlata con le differenti modalità di rapporto della madre con il neonato, influenzandone la successiva modalità di relazione con gli altri e la propria valutazione di sé. Un pattern di attaccamento sicuro, crea schemi cognitivi che permettono al bambino e più tardi all'adulto, di stabilire relazioni durevoli e meno turbolente, potendo contare su validi schemi cognitivi cui attingere nei momenti di difficoltà. Patterns insicuri o instabili, favoriscono modalità relazionali disturbate, con senso di insicurezza, ansia di perdere l'oggetto relazionale o incapacità di formare legami affettivi durevoli.
Il pattern evitante è stato messo in relazione con la personalità antisociale, aggressiva e violenta, considerando che un attaccamento instabile, predispone a una scarsa elaborazione di caratteri e schemi cognitivi che favoriscono empatia, vicinanza e relazioni calde e fiduciose, che spesso si rinvengono nelle personalità disturbate, associate a comportamenti violenti e criminali.
I due fattori più pesanti in infanzia sono risultati:
coinvolgimento in azioni devianti e violente, quali furti, danneggiamenti, violazioni di domicilio e ricatti, anche con condanne;
uso di sostanze, tipicamente alcol e spinelli, che per quanto diffuse in adolescenza, nei ragazzi sotto i 12 anni rivelano l’appartenenza ad uno stile di vita deviante e antisociale.
Questi due fattori concomitanti ed associati al sesso maschile, aggressività e iperattività a scuola, configurano il mix a più alto valore predittivo. Il sesso maschile si differenzia da quello femminile per l'assetto ormonale e dimorfie cerebrali, che lo rendono evolutivamente più incline ad esprimere fisicamente gli stati emozionali, che sono anche oggetto di una valutazione differenziata in società: i comportamenti violenti sono infatti emessi per il 75% da maschi.
L'iperattività, con o senza deficit di attenzione, ha rivelato buona capacità predittiva di aggressività, anche considerando che i 3/4 diagnosticati sono maschi. Tradizionalmente l'aggressività è stata descritta all'interno di un gruppo di individui simili, classificandola in base allo scopo che persegue, successivamente,considerando che l'aggressività è sostanzialmente uno stato emozionale, l'attenzione dei ricercatori si è focalizzata anche sulle modalità espressive, ed è stata distinta, tra l'altro, in verbale, psicologica e fisica, rivolta a persone o a oggetti. Quest'ultima ha rivelato maggiore correlazione con la violenza grave, anche se non in senso lineare, né con peso elevato (Nagin e Tremblay, 1999).
Da ultimo, consideriamo il peso della violenza, espressa in ambito domestico e negli ambienti di vita del bambino. L'esposizione alla violenza durante l'infanzia e nella prima adolescenza dispiega conseguenze notevoli sullo sviluppo mentale, specie per gli aspetti della regolazione emozionale. Il bambino e il giovane adolescente può manifestare disagi e fobie, tipicamente paura di restare solo, del buio, o incubi notturni oppure comportamenti regressivi, come enuresi e difficoltà di verbalizzazione, scarsa concentrazione a scuola e sentimenti di sfiducia e senso di sopraffazione. L'area delle relazioni interpersonali è parimenti colpita, con scarsa capacità di affidamento, scarsa intraprendenza e indipendenza. Le conseguenze sono maggiori quando la violenza è espressa in famiglia, dai genitori tra loro o con terzi e quando esita in lesioni, proprio per l'anormalità del contesto in cui si attua, che dovrebbe rappresentare un rifugio sicuro dalle aggressioni e pericoli dell'ambiente.
L'esposizione alla violenza può promuovere comportamenti simili oppure può inibire il comportamento e renderlo incline alla depressione e al sentimento di impotenza, quindi non è fondata la radicata convinzione di numerosi operatori, secondo la quale chi subisce violenza in infanzia sarà incline a riprodurla da adulto.
2.2.1.b Fattori di rischio in adolescenza
Questo periodo, che biologicamente è segnalato nella femmina dall'inizio dell'ovulazione e nel maschio dalla separazione dei testicoli, in psicologia è generalmente ricompreso tra 12 e 17 anni, terminando con l'ingresso nell'età adulta. Più in generale definito seconda decade di vita, è caratterizzato dalla proiezione del giovane all'esterno della famiglia, con un ruolo crescente giocato dal gruppo dei coetanei. Durante questa decade, i giovani sono maggiormente sollecitati a confrontarsi con i coetanei, a sviluppare relazioni caratterizzate sessualmente e dove l'aggressività e la capacità relazionale sono messe alla prova. La conquista dell'indipendenza, l'affermazione della propria identità personale e sessuale, conoscere le proprie abilità e competenze, rinegoziare i propri ruoli in famiglia e con i coetanei è fonte di stress e motivo di ansia e sentimenti contrastanti. Proprio in questa decade si osservano il maggior numero di comportamenti devianti e violenti, considerando che circa il 15% dei giovani adolescenti è coinvolto in atti violenti.
Aggressività e violenza, per alcuni, possono servire per affermare la propria identità e ruolo all'interno del gruppo dei coetanei ma possono anche esprimere condizioni di disagio e segnalare malattia. I fattori dell'infanzia perdono peso, a vantaggio di quelli che derivano dalle relazioni con i pari, con l'emergenza di due:
scarsi legami di comunanza e amicizia con i compagni di scuola e con i coetanei, essere evitati o deliberatamente esclusi, scarsamente considerati e denigrati dai compagni di scuola per caratteristiche personali, stili di vita e appartenenza etnica;
Può segnalare una serie di disagi e disturbi, che quando osservati per lunghi periodi possono indicare l'interessamento dello spettro schizofrenico o affettivo, potendosi ricondurre a disturbi di personalità schizotipica o paranoide, o a depressione non diagnosticata.
stabilire relazioni strette con coetanei antisociali, con carriera criminale attiva e /o far parte di una gang giovanile. La gang è formata da un gruppo di giovani, caratterizzati da comportamenti devianti, stili di vita non convenzionali, spesso con compimento di azioni criminali, quali risse, comportamenti a rischio, uso di sostanze, furti e atti violenti.
Altri fattori di rischio, anche se con minor peso, sono:
un basso livello socio economico della famiglia che preclude al bambino l'accesso alle normali opportunità di istruzione e di lavoro, rendendo più probabili l'abbandono scolastico e l'adozione di stili di vita devianti,
genitori con tratti antisociali e stili di vita devianti e violenti rappresentano un fattore di notevole peso, se associato al precedente. Invece, vivere in quartieri ad alto degrado ambientale e sociale non ha rivelato di per sé una correlazione significativa, al pari di separazioni e divorzi dei genitori, anche quando seguiti da allontanamento duraturo del figlio, con perdita di una o di entrambe le figure di attaccamento.
Considerare preminenti i fattori individuali e familiari non vuol dire che i fattori socioeconomici non siano rilevanti, piuttosto che sono considerati derivati e secondari.
2.2.2 Fattori protettivi
Similmente ai fattori di rischio, sono stati individuati un certo numero di fattori che proteggono il bambino e rendono meno probabile che incontri i fattori di rischio. Due in particolare, hanno rivelato un alto potere protettivo:
aver formato un attaccamento sicuro durante l'infanzia, con genitori non inclini alla violenza, che hanno fornito valide relazioni di sostegno, in un clima di calore e fiducia. Questo fattore dispiega effetti generici e indiretti, favorendo attitudini sociali positive, che guidano il bambino verso coetanei con caratteristiche simili;
•mostrare buon coinvolgimento nelle attività scolastiche ed extra scolastiche, segnale di buon orientamento sociale del bambino, anche quando non confortato da buoni risultati.
Altri fattori hanno rivelato un peso assai debole e sono emerse difficoltà nell’operare una netta separazione del peso specifico di ciascuno.
2.2.3 Bullyng e DAI
Olweus (1993), definisce bullismo una forma di comportamento aggressivo attuato da un bambino o preadolescente, diretto a un bersaglio determinato, espresso attraverso due modalità:
diretta, con minacce, derisioni e aggressione fisica,
indiretta, attraverso l'esclusione, l'isolamento e l'indifferenza emotiva.
In genere il bullo è aggressivo con i coetanei e con gli adulti, in particolare genitori e insegnanti, considera la violenza un mezzo per farsi strada nella vita, disprezza i coetanei più deboli e con difetti fisici, prova un forte bisogno di dominare, mostra indifferenza e disprezzo per la vittima.
Olweus distingue due tipi di vittime:
la vittima provocatrice, sono bambini che esprimono frequentemente aggressività reattiva, labile regolazione emozionale, spesso irritabili, reagiscono verbalmente alle provocazioni e non godono del supporto e della simpatia dei compagni;
la vittima passiva, timida, ansiosa, insicura e con bassa autostima.
Il bullismo ha una sua natura relazionale, in quanto si verifica in contesti associativi, come a scuola, ambienti ricreativi e sportivi, dove sono importanti le abilità di riconoscere i propri e altrui stati emozionali. Dal punto di vista evoluzionistico, si può considerare il bullismo una precoce forma di aggressività, finalizzata alla concquista di una posizione di dominanza in un gruppo, anche se molti bambini non cercano di prevalere ma solo di bersagliare una vittima designata. L'estrazione sociale di bulli e vittime è diversificata, mentre sul piano delle abilità e rendimento scolastico non sono rilevate differenze rispetto alla popolazione generale e quando è presente scarso rendimento è stato per lo più riferito a mancanza di motivazione e interesse per le attività scolastiche. Rispetto all'età dei soggetti, il fenomeno in Europa tende a un picco tra gli 10 e 11 anni, mentre in America è differito di un paio di anni. I maschi, durante il picco, dichiarano di aver commesso bullyng contro compagni di classe nella misura del 20%, contro la metà delle femmine, mentre attestano un identico tasso di vittimizzazione, pari al 20%. Anche le modalità operative sono differenziate per genere: i maschi sono individualisti, impulsivi e muscolari, anche se alcuni sorprendono per la perfidia dei loro gesti, mentre le femmine più spesso agiscono in gruppo, manifestando indiferenza emotiva, derisione, fino all' esclusione di una compagna.
Nei maschi il bullismo è rapportabile ad affermazione di dominanza, esercitando potere e controllo su un coetaneo e per questo non sorprende che bulli e vittime appartengano ad ogni classe sociale e che il fenomeno non sia che minimamente influenzato dal tipo di scuola e dal modo di conduzione della classe da parte degli insegnanti. Bulli e vittime, sia pure per differenti caratteristiche, non godono di popolarità, simpatia e amicizia da parte dei compagni di classe: i primi perché sono prevaricanti e non empatici, i secondi perché titubanti, isolati e con reazioni improvvise e sconcertanti.
I bulli tendono a commettere errori nel decifrare lo stato emotivo altrui, in particolare confondono frequentemente l'emozione di disagio e infelicità della vittima con quella di felicità e in genere falliscono nel comprendere i sentimenti degli altri (Smith et al. 1993), in modo analogo a molti bambini aggressivi. Questi falliscono l'interpretazione dei segnali facciali altrui, specie in contesti ambigui (Dodge, 1980, Dodge e Frame, 1982), non riescono a condividere le regole che stabiliscono quali comportamenti sono appropriati in contesti di disputa e finiscono per emettere risposte aggressive di cui sovrastimano l'efficacia, non disponendo che di un limitato repertorio comportamentale. Per altri autori (Smith et al. 1993; Sutton et al. 1996), con i quali convergiamo, non sempre le manifestazioni aggressive si accompagnano a discontrollo degli impulsi, per cui la maggior parte dei bulli è caratterizzata da comportamenti deliberatamente volti a dominare e sottovalutano o non considerano i sentimenti altrui per proprio tornaconto piuttosto che per incapacità a decifrare le emozioni altrui e a controllare il proprio stato emozionale.
Per il DSM il bullyng rappresenta una delle possibili manifestazioni del DdC ma ad oggi, non esistono strumenti in grado di predire quali soggetti continueranno le condotte antisociali da adulti. Per una discussione sulla validità della diagnosi di DdC si rimanda al paragrafo sulla psicopatia.
I bambini affetti da deficit di attenzione, con o senza iperattività sono caratterizzati da tre principali aspetti caratteristici:
inattenzione
iperattività
impulsività
In questo disturbo la componente biologica gioca un ruolo rilevante e quasi sempre il DAI fa da spia ad altri disturbi che il bambino incontrerà durante lo sviluppo, tipicamente quelli dell'umore, d' ansia e disturbo di condotta. Ancora non è chiaro se il DAI rappresenti una prima manifestazione psicopatologica di una serie di altri disturbi ad esordio in preadolescenza o se invece, determinando distorsioni dei periodi critici, influenzi negativamente lo sviluppo di altre aree corticali, detrminando altri disturbi secondari. In ambito scolastico è utile riconoscere questi comportamenti e segnalarli alla famiglia, affinché sottoponga il bambino a visita specialistica ed eventualmente a trattamento, per cercare di ridurre i disturbi in adolescenza, tra i quali figura, in circa un quarto dei casi, quello di condotta. Non sempre la componente ipercinetica è presente e non è nemmeno la più rilevante, piuttosto è il deficit di attenzione, la facile distraibilità, il repentino e tumultuoso cambio di atteggiamento e disposizione mentale, la difficoltà a seguire i discorsi delle maestre e a leggere e decodificare il significato di frasi scritte alla lavagna, la chiassosità e intempestività a suggerire la necessità di un approfondimento. Quando la componente ipercinetica è presente, la diagnosi è facilitata, perché sempre si accompagna a deficit di capacità attentive e a volte a segni di instabilità dell'umore.
I bulli non presentano deficit attentivi ma piuttosto sono caratterizzati da perfidia e malizia, i maschi possono anche essere fisicamente violenti ma si riconoscono dai bambini affetti da DAI perché questi mancano di cattiveria, semplicemente sono inopportuni e molesti ma non contro un bersaglio determinato. Fortunatamente, a parte quelli che derivano da evoluzione di DAI in adolescenza, i bulli tendono in gran parte a cessare tali comportamenti e solo una piccola quota li prosegue in adolescenza e da adulti, manifestando tratti antisociali e psicopatici. Al proposito, la maggior parte degli psicopatici in infanzia era piuttosto schiva e isolata, sicuramente problematica ad un occhio esperto ma non molesta per gli insegnanti e compagni di scuola.
2.3 Tre situazioni problematiche coinvolgenti i bambini
Sindrome dello scuotimento (shaken child), ricorre quando la madre o altro caregiver scuote energicamente il neonato, nel tentativo di farlo smettere di piangere. Dal momento che le strutture anatomiche non sono ancora completamente formate, lo scuotimento può esitare in emorragie sub-aracnoidali e altre forme emorragiche, accompagnate da una sintomatologia clinica che include torpore, vomito e febbre. L'origine del comportamento è da ricondurre a due motivazioni:
-malpractice dovuta a un maternage carente, frequentemente attuato da madri giovani e inesperte,
-azioni impulsive e rabbiose, volte a liberarsi dallo stress causato dal pianto del neonato, attuato da madri che presentano all'anamnesi una storia di frustrazione per una gravidanza non desiderata o una storia di disturbi dell'umore, aspetti ossessivi, compulsivi, eventi stressanti concomitanti, separazioni e non raramente è presente abuso di sostanze.
Disturbo provocato da un parente (Munchausen syndrome by proxy, MSBP), alla lettera, per procura, in cui un genitore, di solito la madre, causa deliberatamente disturbi e malattie nel figlio, di solito in età prescolare, somministrandogli sostanze che provocano vomito o infettandolo con liquidi organici, causando una varietà di disturbi che i medici spesso non riescono a ricondurre a una causa precisa. La personalità dell'abuser è riconducibile al disturbo narcisistico di personalità, con tendenza al funzionamento border; sono spesso rintracciabili storie di incomprensione coniugale, scarsa considerazione paterna, incomprensione dei bisogni emotivi sia in infanzia che nell'attuale ménage.
Non raramente queste giovani madri preoccupate per la salute del figlio, alla cui causa dedicano tutto il loro tempo e attenzioni, erano state studentesse di medicina o allieve infermiere, scartate per la loro instabilità caratteriale e inadeguatezza emotiva. Quando uno staff sanitario ha a che fare con queste pazienti, si creano al suo interno incomprensioni e divisioni tra quelli che sostengono la madre e quelli che la considerano una persona problematica. I motivi di simili condotte sono da ricomprendere nella ricerca di attenzioni compensatorie del senso di vuoto e indifferenza emozionale che ha circondato l'abuser e a volte anche in un senso di rivincita nei confronti di un sistema che le ha escluse.
Sparizione di bambini ad opera dei familiari, ricorrono con una certa frequenza e sono riconducibili a una serie di fattori. Quando un bambino o due fratellini spariscono senza un motivo e senza segni di incidente o di fuga o richieste di riscatto, si deve sospettare che uno o entrambi i genitori o i familiari siano parte attiva dell'evento quando ricorrono queste condizioni:
- separazioni con strascichi e rivendicazioni riguardo l'assegnazione dei figli,
- separazioni con nuovi partner, spesso è presente il “doppio incrocio”, cioè scambio reciproco dei partner tra due coppie,
- partner femminile che ha avuto figli da altra relazione durante la relazione ufficiale attuale o precedente,
- sospetto di tradimenti e figli non propri.
Si tratta di situazioni complesse, che hanno in comune i figli, ora come mezzi di rivendicazione, ora come prova di tradimento o come strumenti di vendetta su cui rivalersi. Per arrivare a gesti gravi sono però necessarie ulteriori condizioni, quali disturbi di personalità, disturbi dell'umore ed eventi precipitanti, quali fattori di stress, come litigi e disagio ambientale diffuso. Anche quando sono presenti motivi opportunistici, nella madre è sempre riscontrabile il carico patologico e lo stress, tendenza a soffrire di crisi depressive o dissociative e a mostrare aspetti regressivi della personalità.
2.4 Adolescenti e gruppi a rischio
L'adolescenza coincide con trasformazioni anatomiche, fisiologiche e cognitive che preludono all'ingresso del soggetto nel mondo adulto, in cui c'è piena assunzione di ruoli diversificati che sottendono la capacità di mediare efficacemente all'interno dei differenti contesti di vita. In questa fase, compresa tra 13 e 18-20 anni, maschi e femmine compiono traiettorie di sviluppo differenziate e complementari in continuità con il percorso infantile, con specifiche caratteristiche familiari e ambientali. Gli aspetti su cui soffermarsi sono molteplici ma qui si sottolinea l'importanza del consolidamento dell'identità sessuale, la capacità di gestire e regolare il proprio stato emozionale e l'acquisizione di una buona autostima e fiducia nei propri mezzi e abilità, punti discriminativi per una valida maturazione della personalità in senso non problematico.
Quando lo sviluppo infantile è avvenuto in un ambiente supportivo, in un clima favorevole a una sana crescita psicologica, le problematiche adolescenziali sono generalmente ridotte e più facilmente affrontabili e superabili ma sappiamo che non sempre le cose vanno in senso auspicabile: litigi e separazioni coniugali, clima affettivo freddo e distaccato, situazioni di negligenza e abuso sono altrettanto frequenti e predispongono il bambino e più tardi l'adolescente, a incontrare disagi, disturbi e difficoltà che possono avere effetto sommativo e manifestarsi anche in modo eclatante durante il delicato periodo di transizione adolescenziale. E' in questo periodo che presistenti disturbi non diagnosticati cominciano a dare segni clinici importanti e non raramente gli adulti che vivono con il soggetto e anche gli operatori sanitari tendono a non riconoscerli o a sottovalutarli. Forme ansiose, depressive, dissociative e deficit di attenzione si manifestano precocemente nei bambini predisposti e non tendono a risolversi spontaneamente, bensì si consolidano in forme clinicamente differenti, tipiche dell'adulto. In definitiva, traiettorie distorte di sviluppo, ambiente problematico e presenza di disturbi, tendono a convergere nel periodo adolescenziale, già irto di difficoltà e sfide, rendendo il soggetto ulteriormente vulnerabile.
E' in questa fase dell'arco della vita che assume sempre più rilievo la dimensione aggregativa e si manifesta la naturale tendenza del soggetto a partecipare a gruppi di diverso orientamento e rispondenti a esigenze differenti. Nel gruppo sono messe alla prova le abilità di stringere alleanze, risolvere le dispute e sono cercate risposte ai bisogni di intimità e vicinanza. Il gruppo inoltre, riflette il bisogno dell'adolescente di cercare sostegno e condivisione delle ansie e difficoltà derivanti dalla ricerca di nuovi ruoli.
Coloro che provengono da un percorso di sviluppo sufficientemente equilibrato, che hanno potuto confrontarsi con i propri stati emozionali e hanno appreso modalità efficaci di controllarli, potranno più facilmente vivere l'esperienza nel gruppo di amici in modo non problematico, disponendo di un bagaglio di risorse psicologiche cui attingere e che potrà essere ulteriormente sviluppato e adattato al nuovo contesto relazionale, mantenedo spazi adeguati di autonomia, necessari alla propria individualità. I soggetti che invece provengono da un percorso di sviluppo problematico, che non hanno ricevuto adeguate cure fisiche e psicologiche o che hanno subito forme di abuso, tendono a incontrare fattori di rischio elevati, anche in relazione alla possibilità di entrare in gruppi problematici.
E' opportuno distinguere i soggetti che fanno parte di gruppi tipicamente dediti al crimine, caratterizzati da radicamento sul territorio e scopo di lucro, dediti al furto, traffico di sostanze e gioco d'azzardo, che la letteratura americana denomina gang e youngsters, che in europa è fenomeno assai meno diffuso e con minori potenzialità offensive, prevalentemente per la minore diffusioni di armi da fuoco. La facilità di accesso alle armi differenzia la popolazione giovanile americana in confronto a tutte le altre nazioni industrializzate, seguita da quella israeliana e nord-irlandese. Questa caratteristica è stata correlata con i più alti tassi mondiali di omicidio e suicidio tra bambini e adolescenti, proprio perché i gesti lesivi sono più spesso realizzati con armi da fuoco, con conseguenze più gravi.
Nel 2001, la Youth Risk Behavior Survay (YRBS), rilevava che nel mese precedente all'intervista, gli studenti dei college che avevano portato un'arma a scuola era pari a M = 29% F = 6% , un dato nemmeno confrontabile con quello degli studenti europei. Inoltre in America si registra il più alto numero di bande giovanili devianti, criminali e violente, probabilmente per il convergere di diverse variabili ambientali, quali alti tassi di immigrazione, minoranze etniche, alta mobilità sociale e precarietà lavorativa, diffusione di sostanze e degrado sociale e ambientale diffuso.
I gruppi più tipicamente problematici ma non dediti al crimine invece sono più instabili, in molti casi non è presente nemmeno una chiara intenzione di formare un gruppo con scopi definiti, sono composti da soggetti che spesso non hanno raggiunto una identità sessuale stabile, denotata da atteggiamenti confusi o al contrario ipermascolinizzati. Identità poco strutturata, strategie di difesa non funzionali, identità sessuale fluttuante, sono spesso rintracciabili nei soggetti appartenenti a gruppi di adolescenti che manifestano comportamenti violenti sia all'interno che all'esterno. Molti gruppi comprendono elementi appartenenti a minoranze etniche, caratterizzati da comportamenti tipicamente delinquenziali, scarsa o punta integrazione sociale e composti da soli maschi, un mix di frequente riscontro nei casi di aggressione sessuale violenta. Gruppi misti, composti da elementi culturalmente eterogenei, accomunati dalla condivisione di ambienti e classi sociali disagiate, sono caratterizzati da una maggiore propensione per la devianza non violenta e dal ruolo delle femmmine, spesso vere ispiratrici delle bravate. Negli ultimi vent'anni, si è registrata una costante crescita di gruppi di sole femmine, in genere ipermascolinizzate, appartenenti a subculture urbane, caratterizzate da devianza, stili di vita non convenzionali e diffusa omosessualità.
Quando frequentano le scuole, i soggetti che appartengono a gruppi problematici attuano e subiscono bullyng con frequenza doppia in confronto alla popolazione scolastica di riferimento e non raramente sono segnalati all'Autorità e sottoposti alle cure dei servizi sociali del territorio.
****** Appendice: un esempio paradigmatico ******
A. B. e C. sono tre adolescenti problematici di 15 anni che abitano in un quartiere popolare e si frequentano dal tempo delle elementari. Segnalati ai servizi sociali del territorio per piccoli furti e danneggiamenti, sono seguiti dalle assistenti sociali e da una psicologa che ha predisposto un progetto di intervento basato sulla fiducia e responsabilizzazione, lasciando ai ragazzi ampia libertà di espressione, avvalendosi del monitoraggio delle assistenti sociali. Gli incontri periodici con i ragazzi sono finalizzati a sviluppare capacità di internalizzazione delle conseguenze delle loro azioni, discriminando i comportamenti accettati da quelli esecrati. Trascorsi alcuni mesi, i tre sono sorpresi mentre si aggiravano attorno a un'auto con carta e liquido infiammabile e confessano di essere stati loro a incendiare le tre auto e i due motocicli durante le settimane precedenti. Non conoscono i proprietari e asseriscono di averlo fatto solo per gioco, per rompere la monotonia. La psicologa è molto dispiaciuta per l'accadimento, avendo messo in conto la possibilità di qualche furtarello, che avrebbe potuto fornire l'occasione per aprire uno spazio terapeutico, utile per l'internalizzazione. Il giudice, sentito il parere di uno psicologo esperto in problematiche di violenza e devianza giovanile, decide l'affidamento dei tre a una comunità di recupero, dove potranno continuare il percorso terapeutico in un ambiente più controllato.
2.5 Considerazioni critiche sulla violenza giovanile
Un aspetto critico della conoscenza dei fattori implicati nella violenza giovanile è rappresentato dal peso da attribuire a ciascuno. Sappiamo che i fattori appartengono a tre classi, biologica, psicologica e sociale ma i ricercatori non concordano né riguardo al peso di ciascuna, né riguardo al modo in cui i fattori si combinano durante lo sviluppo: biologi e psichiatri si concentrano sui fattori biologici, gli psicologi su quelli personologici, antropologi e sociologhi sui fattori sociali e culturali.
Se consideriamo il mix di fattori che caratterizzano i giovani violenti si rileva:
a livello neurale, anomalie di funzionamento di alcune aree del SNC, soprattutto a livello del lobo frontale, temporale e di alcune strutture diencefaliche, inoltre sono presenti alterazioni della fisiologia della serotonina e dei suoi metaboliti; nei soggetti uccisi in conflitti a fuoco o in quelli che hanno compiuto un suicidio in forma cruenta, con armi o condotte spericolate, la neuroimaging mostra frequentemente aree di dimensioni insolite,
a livello personologico e ambientale, sono presenti deficit di attenzione, iperattività, impulsività, alta o al contrario bassa autostima, ansia, depressione, basso Q.I., relazioni problematiche con i familiari, trascuratezza e abuso, genitori separati con strascichi, interruzione degli studi, residenza in quartieri popolari, in aree ad alto tasso di immigrazione, spesso appartenenza a minoranze etniche.
Dati relativi alle caratteristiche dei comportamenti violenti sottolineano la necessità di ulteriori analisi. La generale osservazione che i giovani violenti, a prescindere dalla traiettoria di inizio, con l'eccezione di una piccola quota residuale, cessano la carriera violenta in corrispondenza del passaggio all'età adulta e comunque entro due, tre anni, fa riflettere sulla correttezza e valore diagnostico di una diagnosi di Disturbo di Condotta (D.di C.) e da adulto di Disturbo Antisociale (D.A.), ascritta a giovani violenti e abusanti, a bulli, membri di gang giovanili e sex offenders. Un disturbo di personalità infatti è una modalità relativamente stabile e costante nel tempo di rapportarsi al mondo, pertanto chi riceve diagnosi di D. di C. e di D.A. per condotte violente, dovrebbe mantenere tali condotte nel tempo, considerazione che stride con i dati sulla violenza giovanile. Inoltre, alla nascita e durante lo sviluppo, coloro che presentano anomalie, sono più spesso caratterizzati da impulsività, discontrollo degli impulsi, comportamenti a rischio, come guida spericolata, attività sessuale promiscua e gioco d'azzardo e sono predittivamente caratterizzati da deficit di serotonina e anomalie dell'amigdala. A parte queste tipologie, ad oggi non è possibile individuare preventivamente i bambini che da adolescenti diverranno violenti da quelli che, pur condividendo uno stesso mix di fattori, non compiranno mai condotte violente: infatti uno stesso mix causale, può fornire esiti differenti in relazione alla dose di ciascun fattore e al tempo di inizio e durata del loro effetto.
Il fatto che i soggetti a rischio provengono in gran parte dalle classi più disagiate rimanda alla maggiore probabilità di crescere in un clima familiare negativo, dove sono diffuse trascuratezza e talora abuso fisico ed emozionale. Gli psicologi del comportamento, più di quelli aderenti ad altre aree, si riconoscono nel tipo di metodologia statistico-correlazionale degli studi americani, che individua fattori di rischio e protettivi a partire dai quali si possono predisporre programmi di prevenzione e interventi rieducativi che incontrano i criteri di efficacia ed efficienza che altri approcci teorici non sono in grado di avvicinare, anche se offrono una discreta comprensione dei singoli casi.
Anche la psicologia evoluzionistica offre una comprensione ampia e globale del fenomeno. Se i comportamenti sono il risultato di un adattamento all'ambiente, è chiaro che anche la violenza può essere l'espressione di una selezione in cui l'individuo incrementa le possibilità di sopravvivere in un ambiente che sollecita comportamenti violenti in relazione a situazioni specifiche, mediate anche culturalmente. Secondo questa prospettiva, il giovane rampollo di una famiglia “wasp”, con studio in un lussuoso palazzo di Manhattan e il giovane portoricano pieno di tatuaggi, membro di una gang, hanno entrambi realizzato un adattamento ai loro rispettivi ambienti di vita e solo il giudizio di una maggioranza, che non condivide lo stile di vita dei portoricani, li definisce maladattati e youngsters.
In assenza di condizioni patologiche congenite o acquisite a seguito di traumi o malattie, un bambino che cresce in un clima familiare positivo, ricevendo attenzioni e sostegno, difficilmente intraprenderà una condotta deviante, anche quando il suo contesto di vita e le relazioni di vicinato, offrono modelli tipicamente devianti e violenti, perché gli stimoli ricevuti nel corso di tappe precoci di sviluppo sono prioritari e modulano quelli che li seguono. Essendo stato ascoltato e compreso empaticamente, egli può accedere al suo mondo emozionale e aprirsi agli altri e in tal modo è probabile che da adolescente si orienti verso stimoli che risuonano con quelli che ha ricevuto in passato, evitando le compagnie e le situazioni che non vi si accordano.
Nella maggioranza dei casi i comportamenti devianti e violenti sono una forma di adattamento ma non rappresentano un'opzione volontaria, un'adesione libera a uno stile di vita, piuttosto sono una risposta psicologica che favorisce la sopravvivenza emozionale e non sono nemmeno un disturbo, come il D. di C. o il Disturbo da abuso di sostanze, sia pure con numerose eccezioni, in cui sono presenti alterazioni neurologiche, disturbi e adozioni di stili di vita.
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M è un adolescente albanese di 14 anni, cresciuto in un clima di trascuratezza e indifferenza, con un'infanzia senza comodità e giocattoli e da tempo è seguito dai servizi sociali, per le condizioni disagiate in cui vive e per piccoli furti. Nel quartiere dove abita, da alcuni mesi la gente lamenta il furto di biciclette e oggetti dalle auto, quando casualmente vengono rinvenute, in una casa diroccata, biciclette e oggetti di tutti i generi. M., che era stato notato aggirarsi in quel luogo, anche in compagnia di amici, confessa di averli rubati lui quegli oggetti ma non sa perché l'ha fatto, perché non voleva altro che prenderli e metterli via. La psicologa dei servizi, scrive nella relazione per il Tribunale dei minorenni che M. aveva cercato, con il furto di oggetti, di compensare il suo bisogno di considerazione e di possesso di giocattoli che in infanzia gli era stato precluso.
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