16.8.10

Violenza tra partner, abuso,stalking,harassment sul partner.

2.1 Violenza tra partner (Intimate Partners Violence, IPV)



Seguendo la terminologia dei ricercatori nordamericani si definiscono i termini che ricorreranno nel capitolo.

L’ambito delle relazioni familiari è caratterizzato frequentemente da situazioni di abuso e violenza, superando la metà di tutti i casi che ricorrono.
Estendendo i dati emergenti dagli UCR alla popolazione, considerando che i registri ufficiali non contengono tutti quei casi non conosciuti dall’autorità, sotto sono riportate le probabilità di subire una violenza o abuso:

Familiari       31% di cui 24% coniuge e 8% altri familiari
Parenti          23%
Amici             8%
Conoscenti    22%
Estranei        11%
Sconosciuti    5%

In base alle modalità di realizzazione:

Common assault           68%
Criminal Harassment   10%
Major assault               15%
Sexual assault                7%





2.1.1   Fattori di rischio

 

La violenza domestica rappresenta circa un terzo del totale e per più del 60% è realizzata da un partner. L’85% delle vittime sono donne comprese tra i 20 e i 60 anni, con la fascia 25-35 che rappresenta quella a più alto tasso di prevalenza, circa 110 casi ufficiali ogni 100.000 donne sposate o conviventi, contro 25-30 casi maschili. Le situazioni problematiche sono diversamente graduate e tipicamente formano una escalation, che arriva anche all’aggressione fisica e all’omicidio. Il conflitto coniugale può sfociare in una vera e propria guerriglia per una molteplicità di cause, tra le quali il tradimento, la gelosia e le dispute per l’affidamento dei figli. Le caratteristiche psicologiche dei coniugi e situazioni ambientali contingenti sono fondamentali, tra queste ricorrono spesso abuso di alcol e sostanze, stato di disoccupazione e precarietà lavorativa. La perdita del lavoro del marito correla con situazioni di aggressività verso il coniuge ancor più quando questi lavora, per la percezione di inadeguatezza che genera frustrazione e confusione di ruolo. Il livello delle entrate familiari ha mostrato correlazione con l’espressione di aggressività e violenza e per inciso, le domande di separazione su richiesta delle mogli aumentano quanto più il reddito del coniuge era elevato e ha subito una netta decurtazione nei 18 mesi precedenti alla domanda di separazione, segnalando il timore della partner di perdere il suo tenore di vita e migliori condizioni e opportunità per i figli.
L’eccessivo consumo di alcol quadruplica la probabilità di abuso coniugale e domestico in confronto a non bevitori o moderati bevitori: questa condizione è quasi sempre associata ad altri fattori, quali disturbi di personalità, disoccupazione, basso reddito ed esposizione a violenza in infanzia, che assieme costituiscono la configurazione a più alto rischio di violenza coniugale.
Violenza e abuso costituiscono la prima causa di separazione, anche se molte donne sposate con partner maneschi, impulsivi, compulsione per il gioco e abuso di sostanze, affette dalla “sindrome della crocerossina” cercano con ogni mezzo di correggere il loro uomo, facendone il principale scopo di vita. La sindrome, è tipica delle donne che scrivono ai carcerati e attendono anni per poterli sposare con l’intento di redimerli.
Riguardo l’abuso sessuale, anche se i dati ufficiali attestano una quota variabile dal 4 al 7 per cento, le stime lo collocano su valori almeno doppi, considerando che poche mogli sono propense a rivolgersi alle autorità. I casi di vera e propria violenza sessuale sono meno rari di quanto si può credere, anche se per lo più si tratta di rapporti non desiderati, che segnalano il cattivo andamento relazionale e l’alta probabilità di separazione. La percezione dell’abuso è variamente graduata, dipendendo dalle caratteristiche dei partner e della relazione. Anche lo sfruttamento sessuale della partner, attuato con minacce o metodi violenti, ricorre con una certa costanza in ambienti particolarmente degradati, anche se più spesso la decisione di prostituirsi è presa consensualmente con il coniuge, senza costrizioni.
Emotional abuse ricorre quando un partner sistematicamente sminuisce e discredita i pensieri e i bisogni dell’altro e non va confuso con le frequenti situazioni di conflitto coniugale, dove all’occasionalità si unisce la reciprocità delle offese. Un criterio soggettivo per capire quando si è oggetto di emotional abuse è la consapevolezza della prevaricazione dei propri sentimenti e stati emotivi, che, per quanto ampiamente graduata nei diversi soggetti, sottende una generale capacità di percezione dei propri stati mentali nelle relazioni interpersonali. Quando qualcuno prova sentimenti di disistima e svalutazione dovrebbe cercare di approfondirli e capire se dipendono da una reazione altrui ai propri stati mentali o se invece si tratta di aggressioni motivate da stimoli che non dipendono da lui. Sfortunatamente gli individui particolarmente reattivi o all’opposto tendenzialmente passivi nelle relazioni interpersonali, mostrano difficoltà a riconoscere i propri stati emozionali e a distinguerli da quelli altrui, condizione che predispone a situazioni di difficoltà nelle relazioni per scarsa abilità a interpretare il feed back ambientale e a realizzare una sintonizzazione adattiva.

Una condizione psicopatologica che predispone al ruolo di vittima è il disturbo d’ansia di separazione (SAD). Il SAD si manifesta precocemente nei soggetti predisposti e già a partire dal secondo mese il neonato manifesta reazioni caratteristiche di orientamento agli stimoli e modalità peculiari di relazione al caregiver che, pur non esclusivi, correlano significativamente con la probabilità di sviluppare il disturbo. I soggetti affetti da SAD hanno maggiori probabilità di manifestare disturbi della sfera del controllo, che oggi sappiamo essere molto sfaccettati, andando dal disturbo di personalità dipendente (DPD), a problematiche di discontrollo, come abbuffate, gambling patologico, dipendenza da sostanze, anche endogene, come nei forzati della palestra.
Quando la personalità risente di queste problematiche, si rilevano due tipiche modalità relazionali: la dipendenza affettiva e l’evitamento del coinvolgimento relazionale.
Nell’evitamento il soggetto si tiene lontano da un coinvolgimento affettivo per il timore della sua perdita e per l’impossibilità di farvi fronte; si tratta di soggetti che si rifugiano nel lavoro, nelle relazioni tipo mordi e fuggi, spesso con partner già impegnati sentimentalmente o realizzando una vita sessualmente promiscua, senza mai trovare una collocazione stabile. Nella dipendenza affettiva invece il soggetto, si tratta quasi sempre di donne, cerca una relazione stretta ed esclusiva con familiari e con il partner, per trovare rassicurazione alla sensazione di perdita e incapacità di fronteggiarla. Le donne che ne sono affette tendono a sposarsi precocemente e compiono sforzi inimmaginabili per mantenere la relazione, anche a costo di subire abusi quando si legano ad uomini prepotenti e violenti, che le sottopongono a pratiche sessuali indesiderate per dare sfogo alle loro parafilie e anche a sfruttamento sessuale o a coinvolgimento in attività criminali. Ci sono poi altri fattori predisponenti, principalmente la dipendenza economica e il timore per la cura dei figli, che da soli non spiegano la permanenza con partner violenti.
Sono state descritte due tipiche relazioni in cui ricorre abuso: in una, un partner è abitualmente violento o abusante, nell’altra ha scoppi di violenza occasionali, che tendono a ripetersi con una certa frequenza. La prima modalità comporta un minor tempo prima che la vittima si decida ad adottare provvedimenti drastici, quali denuncia o allontanamento da casa mentre la seconda, caratterizzata da improvvisi scoppi di violenza contro il partner, seguiti da rassicurazione e promessa di non ripeterli, può durare anche molti anni prima che la vittima decida di averne abbastanza.

Secondo Strauss e Gelles (1990), ci sono evidenze per sostenere che nell'ambito delle relazioni intime, uomini e donne usino violenza in uguale misura, mentre secondo altri, tra i quali Bachman e Saltzman (1995), gli uomini ricorrono maggiormente alla violenza in confronto alle partners. Le fonti statistiche ufficiali, principalmente gli UCR, Uniform Crime Registers, in cui sono annotati dalla polizia i dati relativi alle richieste di intervento, indicano un costante incremento dei tassi femminili, con sempre più partner maschili che richiedono l'intervento, anche se si ritiene che i dati sottostimino il fenomeno perché circa i 2/3 delle situazioni non emergono ufficialmente. La violenza tra partners (Intimate Partners Violence (IPV), non può essere compresa a pieno, se non si arriva a cogliere alcuni elementi fondamentali, dinamicamente interconnessi (Jhonson e Ferraro, 2000): tipologia degli atti, modalità di compimento, motivazioni degli attori, ruolo, collocazione sociale dei partners e contesto culturale in cui le vicende hanno luogo. Si è rivelato utile un approccio che considera come unità di analisi la coppia e la sua dinamica relazionale, considera la donna capace di usare violenza e di collocarsi nella relazione con modalità psicologiche simili a quelle del partner e che infine, colloca la relazione problematica in un contesto nel quale è fondamentale il ruolo della coercizione, potere e controllo.

Riprendendo il lavoro di Kurt Lewin (1935) sul potere, che aveva definito, in accordo con la sua “teoria del campo” “ facoltà di condurre forze di una certa magnitudine su un'altra persona“, French e Raven (1959), hanno formulato la teoria del “Potenziale di influenzamento”, a significare l'abilità di un agente di influenzare un bersaglio, individuando cinque forme tipiche di esercizio del potere:

la forma coercitiva coinvolge l'abilità dell'agente di imporre in modo tangibile, esplicito o indiretto, azioni e pensieri che il bersaglio non desidera o impedirgli azioni che invece desidera compiere,
la forma ricompensatoria implica l'abilità di fargli conseguire le cose che desidera e evitargli quelle indesiderate,
il potere legittimo implica la possibilità di imporre senso di responsabilità e di obbligo a seguito di una posizione differenziata, che non significa che sia riconosciuta meritoria,
potere referenziale implica la possibilità di suscitare sentimenti di approvazione e di obbigazione sulla base di processi di identificazione con gli stati mentali dell'agente,
il potere esperto concerne la capacità di convincere il bersaglio che l'agente possiede competenze e conoscenze che possono essergli utili.

Raven (1992), ha ricompreso la teoria in un modello interattivo di influenzamento interpersonale, che distingue le basi del potere, il suo processo e le conseguenze, permettendo di distinguere le forme di abuso e i tentativi di usare il potere per coercire e conseguire il controllo tramite l'accondiscendenza. Nelle relazioni intime in cui gli elementi di prevaricazione e violenza non sono esplosivi e intensi, che sono la maggioranza delle relazioni problematiche, ha rivelato buona capacità esplicativa il modello basato sul potere coercitivo, in cui l'agente consegue la condiscendenza del bersaglio prospettando conseguenze negative in caso di non condiscendenza. Le conseguenze possono assumere forme diverse: privazione di mezzi materiali, isolamento, conseguenze nei riguardi dei figli, implicazioni sessuali, fino all'uso di violenza fisica, che in questo modello interpretativo è considerata un'opzione strumentale come le altre, per raggiungere il fine di controllare e dominare il bersaglio, attraverso una strategia coercitiva che consiste nell'intimidazione, isolamento e dipendenza.

Tipicamente l'agente che intende esercitare potere e controllo sul partner, inizia a “preparare il terreno”, dimostrandosi pronto a pagare un prezzo a sua volta. Il bersaglio, di fronte alla minaccia di conseguenze negative reagisce tipicamente in due modi, accondiscendenza o resistenza o in una sequenza delle due ed è stato rilevato che al crescere delle potenzialità negative delle conseguenze, si registrano incrementi sia delle risposte di condiscendenza che di resistenza, in relazione alle caratteristiche personologiche del bersaglio e al tipo di conseguenze.

Sono stati individuati otto domini in cui si esplica potere coercitivo:

attività personali e modo di apparire
vita relazionale e famigliare
conduzione della casa
lavoro e finanza domestica
salute
rapporti intimi
questioni legali e problemi di immigrazione
figli

Il contesto famigliare, culturale e socio-economico in cui ha luogo l'azione è essenziale per comprendere il significato e la portata delle conseguenze temute: minacciare la partner di lasciarla se non farà sesso in un modo che non desidera, conseguirà effetti differenti a seconda che si tratti di una famiglia di immigrati dipendenti dai programmi di assistenza puibblica o di una donna economicamente o anche solamente psicologicamente dipendente dal partner o invece una donna appartenete alla media borghesia, che lavora e può contare sul sostegno psicologico e materiale di parenti e amici. Il contesto e gli antecedenti, il modo in cui è stato predisposto il terreno, guidano l'interpretazione di un evento o di una situazione coercitiva che altrimenti non sarebbe agevole valutare correttamente.

Ci sono quattro modalità tipiche di “preparare il terreno” :

creare condizioni affinché la vittima si aspetti conseguenze negative in caso di non condiscendenza alle richieste,
rendere il partner vulnerabile o sfruttare una preesistente vulnerabilità, ad esempio sfruttare condizioni fisiche, mentali o socio-economiche, come disturbi mentali, fisici, disabilità, difficoltà economiche e lavorative, abuso di sostanze e altre forme di dipendenza,
fiaccare le resistenze, cioè agire sui punti di sostegno sociale e economico del partner, ad esempio separandolo dalla famiglia di origine, privandolo delle sue amicizie personali o facendolo smettere di lavorare,
favorire e sfruttare la dipendenza emozionale: una relazione positiva implica l'interdipendenza emozionale, all'interno di un contesto di scambio, accettazione e assistenza reciproca, mentre nelle relazioni abusanti e coercitive, la vulnerabilità e dipendenza di un partner è sfruttata dall'altro per ottenere potere e controllo. Il partner abusante può favorire la dipendenza e sfruttare le caratteristiche di personalità della vittima, intuendo la sua vulnerabilità a sviluppare un attaccamento dipendente o conoscendo la sua storia di abuso infantile o di crescita in una famiglia problematica, condizioni che sono strettamente correlate alla dipendenza emozionale con difficoltà a gestire le separazioni e le perdite affettive.

In alcune relazioni il partner abusante compie gesti violenti e contemporaneamente genera vulnerabilità, prendendosi cura della vittima, che tende a divenire ancor più dipendente, secondo lo schema descritto da Dutton e Painter (1993). Ad esempio il marito picchia la moglie dicendole che lo aveva fatto arrabbiare e poi la cura, scusandosi e facendosi promettere che non lo farà arrabbiare di nuovo, una situazione che va compresa all'interno di una relazione in cui è presente una forte dipendenza emozionale. Le richieste possono essere esplicitamente o implicitamente coercitive e le conseguenze negative prospettate devono essere credibili, basate su comportamenti già attuati in passato o su elementi attuali dotati di concretezza. La richiesta spesso è seguita da verifiche effettuate sorvegliando la vittima, ad esempio telefonandole a orari determinati per accertare dove si trova o rivolgendole domande indiscrete e intrinsecamente umilianti o pedinandola o facendola pedinare. A volte l'agente le fa credere di controllarla e rivolge domande ai figli o ai vicini, sempre per metterla sotto pressione e ottenere potere e controllo.




2.1.2   Harassment

 

L’harassment ricorre tra le coppie separate o in via di separazione, in rapporto di una ogni quattro. La fine di una relazione può passare per un percorso di estraneazione reciproca ma più spesso implica sentimenti negativi verso il partner. Quando solo un partner decide di porre termine alla relazione, l’altro può viverla con ansia e senso di perdita, sviluppando disturbi dell’adattamento che possono arrivare ad incontrare i criteri per il disturbo post-traumatico da stress. Individui con assetti di personalità peculiari, con presenza di tratti ossessivi e instabilità dell’umore, possono reagire alla richiesta di separazione con pratiche di stalking. I dati degli UCR mostrano equi ripartizione tra maschi e femmine, a significare che la componente personologica e motivazionale è prevalente nel determinare un partner ad attuare stalking.

Le modalità femminili sono volte a creare sensi di colpa e imbarazzo sociale, indirizzando lettere ai colleghi di lavoro e alla nuova partner, mentre i maschi sono più intrusivi e volti al controllo della vittima, seguendola, osservandola e invadendone gli spazi di vita, fino ad introdursi nell’abitazione e nell’auto.

Quando la separazione implica anche l’affidamento dei figli, la partner può cercare di estraniarli affettivamente dal padre e può arrivare ad intraprendere azioni legali al solo fine di nuocergli, usando i figli e la legge per realizzare harassment, anche in pregiudizio della salute mentale dei suoi bambini.
Queste pratiche non ricorrono solo tra coniugi ma anche una persona sconosciuta, più probabilmente una vicina di casa o un personaggio noto al persecutore, possono essere bersagliate da telefonate e lettere, seguitazioni e tentativi di introdursi nell’abitazione. Questi individui spesso presentano disturbi di personalità narcisistica e schizoide, ossessioni e a volte anche deliri e stati variamente graduati di alterazione del reality test.

Quando la vittima si rivolge alle autorità, si rende conto di non poter trovare rapidamente soluzione al suo problema, perché occorrono prove e tempo, finendo per sentirsi ancora più isolata e sconfortata. Tipicamente le vittime di harassment sono donne che vivono da sole e hanno poche amicizie e frequentazioni sociali, dopo alcuni mesi divengono disforiche e alla lunga presentano sintomi del PTDS, con incubi notturni, senso diffuso di inquietudine, insicurezza e paura di restare sole in casa. Un buon fattore protettivo è costituito da una valida amicizia, in grado di minimizzare i disagi e gli effetti psicologici avversi. Si segnala la recente legislazione della Spagna come esempio di intervento legislativo esemplare sulla violenza domestica e harassment sulle donne (resta da vedere poi come viene applicato).




Violenza domestica


Bachman, R., & Saltzman, L. (1995). Violence against women: Estimates from the redesigned survay, Special Report. (No. NCJ-154348). Washington, DC: Bureau of Justice statistics, U. S. Department of Justice.
Crowell, N., & Burgess, A. W. (1996). Understanding violence against women. Washington, DC : National Academy Press.
Dutton, D. G. (1995). The domestic assault of women: psychological and criminal justice perspectives. Vancouver, University of British colombia Press.
Dutton, D. G., & Painter, S. (1993). Emotional attachments in abusive relationships: A test of traumatic bonding theory. Violence & Victims, 8(2), 105-120.
Dutton, M. A., Goodman, L. A., Weinfurt, K., & Vankos, N. (2001). IPV Threat Appraisal. Paper presented at the Annual Meeting of the International Society for Traumatic Stress Studies, New Orleans, LA.
Fagan, J., & Browne, A. (1994). Violence between spouses and intimates: physical aggression between women and men in intimate relationships. In : A. J. Reiss, & J. A. Roth eds. Understanding and prevention violence: panel on the understanding and control of violent behavior, Vol. 3, Social influences. Washington, DC: National Academy Press, pp. 115-192.
French, J. R. P., & Raven, B. (1959). The bases of social power, in Studies of Social Power. Oxford, England: University of Michigan, Oxford England, pp. 150-167.
Freund, et al. (1996). Identifying domestic violence in primary care practice. Journal of General Internal Medicine, Vol. 11, pp. 44-46.
Gelles, R., & Strauss, M. (1988). Intimate violence: The causes and consequences of abuse in the American family. New York: Touchstone.
Kessler, R. C., Sonnega, A., Bromet, E., Hughes, M., & Nelson, C. B. (1995). Posttraumatic stress disorder in the National Comorbidity Study. Archives of General Psychiatry, 52, 1048-1060.
Levinson, D. (1989). Family violence in cross-cultural perspective. Thousand Oaks, CA: Sage.
Lewin, K. (1935). A dynamic theory of personality. New York: McGraw-Hill.
McCauley, J., et al. (1997). Clinical characteristics of women with a history of chilhood abuse: unhealed wounds. Journal of the American MedicaAssociation, Vol. 277, pp. 1362-1368.
Raven, B. H. (1992). A power/interaction model of interpersonal influence: French and Raven thirty years later. Journal of Social Behavior & Personality, 7(2), 217-244.
Raven, B. H. (1993). The bases of power: Origins and recent developments. Journal of Social Psychology, 49(4), 227-251.
Strauss, M., & Gelles, R. (1990). Violence in American families: Risk factors and adaptations to violence in 8.145 families. New Brunswick: Transaction Publishers.