15.8.10

Basi Biologiche e Modulazione sociale di Aggressività e Violenza.

                          

                                                 Lorenzi  Alfredo                                      

                            Introduzione alla psicologia dei comportamenti

                            violenti: descrizione,valutazione e prevenzione




                                            Prevention Research Center

                                             fur gewalttätiges Verhalten

                                                     Zürich and Lucca







Amear publ. N.Y. Staten Island. 2005




Una copia in versione elettronica, Pdf o Word, ampliata e approfondita, di 187 pagine, può essere richiesta a : alfredolo501@libero.it




Il libro è stato edito originalmente in inglese, infatti gli studi, ricerche e statistiche sono riferiti alla solida ed affidabile banca dati americana. Nota Bene: nel volume sono riportate solo le nozioni che attengono alle teorie e risultati scientifici più affidabili, secondo il noto criterio della "evidence based " .

Il presente post, rappresenta una versione semplificata del volume.

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Indice

Prefazione 4

Cap. 1   Aggressività e violenza

1.1 Aggressività, violenza e modulazione sociale 5

1.2 Basi biologiche dell'aggressività 8

1.3 Influenze ambientali e sviluppo del SNC 12

1.4 Modelli imitativi: media e aggressività 19

Bibliografia e letture consigliate 22


Cap. 2    I percorsi della violenza

2.1 Violenza tra partner 25

2.1.1 Fattori di rischio 27

2.1.2 Harassment 31

2.2 Violenza giovanile 32

2.2.1 Fattori di rischio 36

2.2.1 a in infanzia

2.2.1 b in adolescenza

2.2.2 Fattori protettivi 40

2.2.3 Bullyng 41

2.3 Tre situazioni problematiche coinvolgenti bambini 43

2.4 Adolescenti e gruppi a rischio 45

2.5 Considerazioni critiche sulla violenza giovanile 47

Bibliografia 50


Cap. 3   Sex offenders e diagnosi di abuso

3.1 Introduzione 53

3.2 Parafilie 54

3.2.1 Pedofilia 56

3.3 Abuso e molestie sessuali 59

3.4 Valutazione dell'abuso sessuale intrafamiliare 63

3.5 Interventi sui sex offenders 64

3.6 Conseguenze della violenza e abuso sulla donna 66

3.7 Diagnosi di abuso sessuale sui bambini 68

3.8 La personalità psicopatica 71

Bibliografia 75


Cap. 4   Interventi di prevenzione

4.1 Introduzione 78

4.2 Criteri generali 80

4.3 Parent-family based strategy 86

4.3.1 Parent-child interaction training program 88

4.3.2 Multisystemic therapy program

4.3.3 Functional family therapy 89

4.3.4 Nurturing parenting program

4.3.5 Adolescent transition program 90

4.3.6 Confidential parenting

4.4 Home visiting intervention 91

4.5 Sistema emozionale e controllo degli stati emotivi 92

4.6 Lo sviluppo della competenza emotiva 96

4.7 Tre esempi di programma di intervento 100

4.7.1 Intervento a livello scolastico su soggetti adolescenti

4.7.2 Prevenzione della violenza sessuale in contesti extrascolastici

4.7.3 Intervento sulla violenza domestica


Bibliografia 103

Appendice 107


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Prefazione


L'idea di scrivere questo libro è derivata dalla constatazione di quanto diverso è il panorama delle conoscenze e strategie d'intervento tra USA e Italia in merito alle tematiche di violenza nella vita quotidiana. Nelle città e nelle scuole americane si assiste a un progressivo incremento di programmi indirizzati alle famigli e soggetti a rischio, impiegando metodiche che, pur in assenza di dati definitivi, si stanno rivelando sempre più efficaci nel prevenire i comportamenti violenti.

Il volume è suddiviso in quattro capitoli: nel primo sono esposte le teorie e le conoscenze più ampie sulla natura del fenomeno e le sue basi biologiche e sociali; il secondo e il terzo sono dedicati agli specifici contesti di violenza mentre il quarto illustra le principali strategie di intervento e le basi teoriche e metodologiche su cui si centrano. Proprio questo capitolo rappresenta una novità per il panorama professionale italiano, con l'auspicio di stimolarne l'interesse e promuovere istanze di aggiornamento.

E' infatti un punto indiscutibile, che in Italia sono numerosi i corsi di formazione post laurea (psicologia in prevalenza), che mirano a formare professionisti del settore del controllo a livello giudiziario e basati sul singolo caso o sul gruppo, quasi ignorando la possibilità offerta dalle ricerche e studi più recenti, che indicano ormai da almeno 15 anni, che a livello micro-territoriale, di quartiere e di aree teritoriali omogenee, si possono e si dovrebbero attuare pianificazioni e programmi per il controllo di base della violenza sul territorio, aspetto assai differente dal formare professionisti capaci di raccogliere testimonianze, compilare relazioni tecniche, valutare indici personologici, predisporre progetti individuali di recupero, che da anni sono formati a ritmo crescente nei corsi post-laurea.

Infatti se questi professionisti svolgono un lavoro importante ai fini della valutazione dello stato di fatto: cogliere le testimonianze, intervenire sulla riabilitazione delle vittime, assistere il giudice nella valutazione della personalità degli imputati e curare il recupero di vittime e autori di atti violenti, si capisce che ancora più importanti sono quei professionisti che raccolgono dati territoriali che concorrono a formare indici di devianza violenta a livello territoriale, ne analizzano la composizione e stratificazione geografica, e predispongono una pianificazione territoriale finalizzata ad integrare due o più programmi di prevenzione della violenza (solo di quella), che possono concorrere ad abbassare gli indici di violenza e quindi di criminalità sul territorio.

Scritto in uno stile sintetico, il libro vuole essere una introduzione aggiornata e rigorosa all'argomento rivolta agli operatori socio-sanitari, scolastici, studenti di psicologia e scienze della formazione e a tutti coloro che sono interessati ad una panoramica sulle tematiche di violenza o ad aspetti più specifici.

Distribuito inizialmente in forma di appunti monotematici ai corsi di aggiornamento del personale sanitario, il volume racchiude una panoramica critica degli studi e ricerche più convalidate nel corso degli anni, escludendo linee teoriche e metodologiche rivelatesi incongrue e inefficaci, che purtroppo continuano a influenzare il campo di studio e di intervento. Sono stati ignorati i dati statistici italiani perché poco significativi e piuttosto nebulosi e poco tracciabili e trasparenti, una scelta purtroppo obbligata per un'esposizione rigorosa, per quanto breve e sintetica.

La redazione del volume si avvale della preziosa collaborazione della Professoressa Karin Hoffmann, -Basil Unit for Crime Study - Basil.




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L'autore, laureato in scienze sociali, scienze biologiche e psicologia, è stato ricercatore di neuroscienze dello sviluppo e in questo ambito, ha cominciato a interessarsi ai soggetti adolescenti con aggressività espressa, anche in forma violenta e alle metodiche di prevenzione ambientale e comportamentale.

Come assistente e consultant, ha partecipato alla analisi e pianificazione della programmazione del controllo della violenza nell'area suburbana di Tampa, Florida, città americana modello sia per le problematiche di integrazione che di violenza, che di implementazione dei progetti e programmi sul territorio.

Tiene corsi sulla prevenzione dela violenza e sulla competenza emotiva ed è consulente di organismi ed associazioni che intervengono nel controllo sociale.


Former researcher at Biosincr Basil

Visiting at Davis Camp Ucla Ca


Per ogni comunicazione o richiesta:
mail to: Lorenzi Alfredo alfredolo501@libero.it
Per consulenza o visita 3389088110 ore 20-21 tutti i giorni.

Per una maggiore sicurezza di risposta, si consiglia di usare la mail.





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Capitolo 1.  Aggressività e violenza




1.1 Aggressività, violenza e modulazione sociale.




In ambito etologico, la teoria dell’aggressività intraspecifica di Konrad Lorenz, basata su metodologia osservativa attuata in contesti naturali, fa perno sul concetto di istinto e su componenti motorie che esprimono le diverse pulsioni che trovano espressioni nel comportamento. Il termine pulsione, in tedesco, è impiegato per denotare uno stato interno all’organismo e Lorenz lo impiega per denotare la componente energetica dell’istinto, che definisce: organizzazione neurofisiologica che si traduce in una serie di moduli comportamentali complessi. Una definizione priva di elementi vitalistici, cioè mistici e immateriali che al contrario avevano connotato le precedenti. Anche il concetto di energia è tipicamente neurofisiologico, riferendosi a una serie di condizioni e stati di eccitazione del SNC. Lorenz individua quattro grandi pulsioni: fame, sesso, aggressività e fuga, selezionate nel corso dell’evoluzione e alla base di corrispondenti funzioni fisiologiche, risultato di più pulsioni parziali, cioè di più di una pulsione che, agendo simultaneamente, determinano il comportamento motivato.

L’analisi di motivazione è la metodica utilizzata da Lorenz per spiegare il comportamento e si articola in tre fasi: conoscere il contenuto degli stimoli, scomposizione del comportamento in moduli motori distinti e quindi analisi dei singoli moduli. Per attribuire un significato funzionale al comportamento, Lorenz segue un percorso interpretativo che collega l’analisi dei movimenti agli antecedenti e ai conseguenti; partendo da un contesto si considerano le relazioni che si stanno costituendo fra gli individui e l’ambiente, si analizzano le espressioni e i moduli istintivi di movimento e si mettono in relazione con le condizioni di arrivo . L’analisi di motivazione rappresenta una metodica che fonda anche la base etologica per l’osservazione del comportamento umano in contesti naturali, sul presupposto che ciascun individuo agisce sulla spinta di pulsioni variamente combinate, purché si comprendano le derivate delle pulsioni di base. Ad esempio la fame, non si riduce al semplice procacciamento di cibo ma ricomprende l’accumulo di ricchezza e tutto quello che si frappone con questi obiettivi; il sesso non riguarda solo la riproduzione ma combinandosi con altre componenti pulsionali e incontrando i fattori culturali, assume significati e valori complessi e sfaccettati; si pensi al valore della verginità o all’uso mercenario della funzione sessuale, solo per fare due esempi banali.

L’aggressività intraspecifica considerata da Lorenz, assolve dunque una funzione utile alla sopravvivenza, permettendo una migliore fitness individuale. L'aspetto critico dell'esposizione di Lorenz consiste nel tentativo di spiegare l'aggressività e la distruttività umana con la perdita dei meccanismi inibitori comunemente osservati in natura, presupponendo un abbassamento della soglia di innesco in relazioni a condizioni ambientali costrittive.

Freud postulava l'esistenza di una pulsione primitiva originata dall'Es, denominata libido, oggetto di investimento psichico sotto forma di narcisismo e proiettata su oggetti, come libido oggettuale; solo in seguito l'autore ha descritto ulteriori componenti pulsionali autonome collocate nell'Io, in particolare la pulsione aggressiva. La libido, con la sua componente aggressiva, originandosi dall'Es è primitiva e al servizio del processo primario mentre quella in partenza dall'Io è al servizio del controllo della realtà e dell'omeostasi. Nel saggio “ Aldilà del principio di piacere “ del 1920, l' Autore arriva a delineare due grandi motori istintuali contrapposti; da una parte la libido e le pulsioni di vita, dall'altra la pulsione di morte, descritta come tendenza alla totale assenza di tensioni, di cui l'aggressività era la componente diretta all'esterno.

Proprio la considerazione delle pulsioni di morte è alla base della teoria di Melanie Klein, che a partire dalle prime relazioni oggettuali postula l'esistenza di un meccanismo complesso, identificazione proiettiva, per mezzo del quale il neonato identifica il seno come oggetto che nutre e bersaglio del suo investimento pulsionale e come oggetto su cui proiettare le istanze aggressive e distruttive, derivanti dall'assenza di un Sé coeso, identificando nella madre un oggetto in grado di contenere queste spinte. Alla base della teoria, in sintonia con Freud e con Abraham è la concezione di una istanza aggressiva originaria, scaturente dall'istinto di morte. Altri autori, in particolare Kernberg e Kohut, si sono distanziati dalla concezione dell'istinto di morte, teorizzando una risposta aggressiva non dipendente da un istinto primitivo biologicamente determinato.

La psicologia del comportamento non ammette componenti istintuali, per cui il comportamento è il risultato di un apprendimento derivante dall’interazione dell’individuo con gli stimoli ambientali. Gli psicologi del comportamento si sono interessati all’aggressività con il saggio del 1939 di Dollard e collaboratori “ Frustration and Aggressivity ”, in cui si sosteneva che l’aggressività era da porre in relazione con la frustrazione delle aspettative individuali e sociali. Le recenti sommosse nelle banlieues parigine possono essere interpretate, alla luce di questa teoria, come una reazione a condizioni di vita che non corrispondono alle aspettative dei ribelli, giovani nati in Francia, che hanno frequentato le scuole e non hanno accesso a posizioni sociali ed economiche corrispondenti a quelle dei loro coetanei, non potendo accedere a lavori ambiti e a tutto quello che ne consegue, come la possibilità di essere attraenti per coetanee di livello sociale superiore. Se questa teoria può spiegare l’aggressività e gli scoppi di violenza all’interno delle grandi città, dove disparità di condizioni di vita sono particolarmente eclatanti, non spiega l’aggressività individuale. Lo stesso Lorenz, nel suo saggio del 1964, “ Zur naturgeschichte der Aggression “, accenna all’insuccesso della pratica di allevare i bambini in assenza di frustrazione, rilevandone le conseguenze negative sul loro stato di salute mentale e constatando che da adulti, non erano affatto meno aggressivi degli altri.

La teoria dell’aggressività formulata da Bandura e collaboratori, collega nel bambino l’osservazione del comportamento aggressivo e violento di un modello alle conseguenze che si producono: se il modello è stato premiato il bambino lo imiterà, se invece consegue effetti negativi il bambino non tenderà a conformare il suo comportamento a quello del modello. L’aggressività sarebbe dunque una opzione culturale, un comportamento da imitare a seconda degli effetti che ricadono sul modello: un giovane manager di successo, aggressivo e spregiudicato, stimolerebbe altri individui a imitarlo, come i personaggi di un fumetto o di un film, premiati per le loro mascalzonate, diverrebbero modelli per i bambini.

Un terzo approccio all’aggressività è quello derivante dalla psicologia evoluzionistica, che si richiama alla teoria dell'evoluzione, etologia, psicologia cognitiva e sociobiologia. Riconoscendo l’importanza dell’adattamento all’ambiente, i comportamenti sono riferiti a differenti piani evolutivi, quali la fitness ambientale, il successo riproduttivo, sia come specie che come individuo e la capacità di sopravvivenza. Appare subito chiara la differenza con gli altri approcci psicologici: qui si riconosce che l’organismo è dotato di un SNC capace di esprimere comportamenti istintivi, non diversamente dalle altre specie di primati non umani, pur non disconoscendo l’enorme peso dei fattori culturali e ambientali.

Nell'ambito della psicologia evoluzionistica alcuni autori, tra i quali Cosmides e Tooby, attribuiscono un notevole peso alla teoria di Dowkins, nota come “ teoria del gene egoista '' (selfish gene). Si può definire altruista, in base a questa teoria, un comportamento che riduce la possibilità di riprodurre i propri geni a vantaggio dei geni altrui e non si deve confondere il comportamento altruista con quello prosociale, che non implica la riduzione di possibilità di sopravvivenza: cedere cibo ad altri quando se ne ha in eccesso è del tutto diverso dal cederlo quando se ne dispone in quantità appena sufficiente per sé. Dovrebbe essere sufficientemente chiaro, che il concetto di successo riproduttivo implica una dose elevata di comportamenti prosociali e altruisti, almeno quel tanto che basta a permettere alla prole di sopravvivere ma anche una notevole dose di egoismo, almeno quel tanto che basta a bilanciare il numero di geni condivisi, per cui i comportamenti altruisti sono meno probabili quanto minore è il numero di geni condiviso.

I comportamenti egoisti non sono direttamente correlati con quelli di lotta e aggressività, infatti essere più o meno egoista non implica una corrispondente dose di maggiore o minore aggressività, che dipende invece dal contesto ambientale e dalle motivazioni degli attori.

Le popolazioni primitive e gli animali sociali, hanno rappresentato un modello semplificato di indagine dei comportamenti di leadership e competizione; tra i primati non umani, le due specie più indagate sono gli scimpanzé e i bonobo, che differiscono più per gli aspetti comportamentali e sociali che per le caratteristiche fisiche. Gli scimpanzé sono organizzati in clan e ordini gerarchici e sono caratterizzati da manifestazioni aggressive di notevole intensità; i bonobo invece sono organizzati secondo un modello matriarcale in cui le femmine, non necessariamente le più giovani, sono in grado di influenzare e regolare l’aggressività e la competizione dei maschi attraverso una strategia concertata in cui il sesso è alla base delle relazioni generalmente più pacifiche di questa specie, nella quale non sono stati osservati casi di infanticidio e imboscate tra gruppi confinanti, né alti tassi di omicidio come invece rilevati negli scimpanzé. Dal momento che le due specie occupano ambienti simili, le differenze in relazione all’espressione dell’aggressività vanno ricercate nelle diverse modalità di organizzazione sociale. Nei bonobo il ruolo giocato delle femmine attraverso la loro continua disponibilità sessuale è essenziale nel ridurre i possibili focolai di violenza mentre negli scimpanzé i conflitti esplodono frequentemente in aggressività e violenza.

Nelle nostre società tecnologiche non si considera l’aggressività un male in sé purché espressa nelle forme convenzionalmente accettate dalla maggioranza dei suoi membri. Ricoprire particolari posizioni sociali è collegato alla probabilità di successo riproduttivo sia tra gli scimpanzé, sia nei popoli primitivi che nelle società occidentali; nelle diverse culture si associa l’espressione e controllo dell’aggressività alla sopravvivenza e riproduzione, mentre solo nei Bonobo, l’attività sessuale ha luogo in modo assai svincolato dalla riproduzione, assumendo caratteristiche comparabili a quelle delle nostre società occidentali.

Nell’uomo l’aggressività è certamente espressa in modi più variegati e complessi tuttavia i meccanismi fondamentali non sono molto differenti, con alla base bisogni di affermazione, potere e controllo. Occorre però sottolineare che nella competizione umana sono presenti aspettative e relazioni ai valori che la differenziano da tutte le altre specie, in particolare per quanto riguarda il concetto di equità, che sottende la ragionevole fiducia che la competizione avrà luogo su un piano di parità e sarà vinta da colui che si rivelerà più idoneo: in sostanza che gli esiti della competizione rispecchino il principio che ciascuno abbia il suo, secondo i suoi meriti. La percezione che la competizione non sia avvenuta secondo criteri equi apre la strada ai soliti meccanismi compensatori, rivalsa sui subordinati e sui terzi, aggressività covata a lungo con progetti di rivincita, violenza e malattia.




1.2   Basi biologiche dell'aggressività



Nell'ambito delle neuroscienze comunemente l'aggressività è definita come la manifestazione di comportamenti offensivi, attivati da inneschi ambientali e finalizzati alla sopravvivenza. Gli inneschi sono stati selezionati durante l'evoluzione e sono relativi ai comportamenti di fitness ambientale, quali ricerca di cibo, sesso e difesa dai nemici ma ci sono anche inneschi appresi nel corso dell'esistenza, i quali rappresentano una linea differenziale tra individui in relazione alla fitness all'ambiente. Ad esempio, il topolino allevato in isolamento, una volta adulto e posto di fronte a un suo predatore naturale, si immobilizza completamente, compreso i bulbi oculari, una sorta di paralisi innescata da stimoli naturali; se il gatto mostrerà comportamenti di predazione e il topolino non ha vie di fuga, attiverà una seconda risposta istintiva per quanto paradossale, si ergerà sulle zampe posteriori, emetterà uno squittio molto acuto balzando all'attacco del predatore cercando di morderlo.

Mac Lean negli anni '60 ha suggerito un modello funzionale del Sistema Nervoso Centrale (SNC), relativo al suo sviluppo filogenetico e funzionale. La sua teoria ipotizza che il nostro cervello si compone dei cervelli dei nostri progenitori e ne rappresenta l'evoluzione, così identifica un cervello primitivo o rettiliano, che corrisponde al midollo spinale e alla porzione inferiore del tronco encefalico, preposto al controllo delle reazioni autonomiche e istintive; un secondo cervello, paleocervello, comprende le strutture sottocorticali, particolarmente il lobo limbico e l'ipotalamo, responsabile degli stati emozionali, aggressività e sesso. Infine il terzo cervello o neocorteccia coincide appunto con le aree corticali dei mammiferi e determina i comportamenti e le funzioni più evolute.

Lo studio anatomo-funzionale del cervello lo divide classicamente in tre tronconi, romboencefalo mesencefalo e proencefalo che non coincidono perfettamente con il modello di Mac Lean; il proencefalo praticamente comprende il diencefalo, l'ipotalamo, lobo limbico e neocorteccia. Esplorare le basi neurali dell'aggressività rimanda alla ricerca dei circuiti emozionali, che si è visto condividono stesse strutture anatomiche ed evolutive; in questo parafrafo si accennerà in forma sintetica alle conoscenze più significative.

Possiamo distingure funzionalmente il cervello in aree che si occupano di due modalità distinte di comportamenti (Le Doux, 1986):

- comportamento emotivo, comprende le reazioni di lotta e fuga, ricerca di cibo, sessualità e relazioni sociali, mediato da porzioni del proencefalo prevalentemente di tipo limbico;

- comportamento cognitivo, comprende le funzioni più complesse, pensiero, linguaggio, ragionamento e immaginazione, mediato dalla corteccia al di sopra del lobo limbico.

Il comportamento emotivo deriva da unità funzionali distinte che mediano emozioni specifiche, partendo da inneschi naturali che sono trasferiti a una unità di valutazione che è in grado di apprendere dall'esperienza, disponendo della possibilità di formare ricordi di configurazioni – stimolo; in questo modo, con il tempo, l'individuo associa reazioni emozionali tipiche anche per inneschi appresi. Le risposte consistono in moduli comportamentali primitivi, specifici in relazione alla valutazione degli inneschi e selezionate dall'evoluzione per la sopravvivenza.

l moduli del comportamento emotivo si sono formati prima di quelli cognitivi e quando parliamo di valutazione di uno stimolo, è bene avere presente che questa funzione non include un livello di consapevolezza perché in questa fase l'analisi e la valutazione cosciente non solo non sono utili ma farebbero perdere tempo prezioso che potrebbe costare la vita. Dunque la risposta si produce in modo autonomo ma successivamente lo stimolo viene trasferito alle aree di analisi corticali dove si ha anche consapevolezza. Un esempio: siamo in penombra e camminiamo, quando all'improvviso sentiamo che qualcosa si sta muovendo sotto il nostro piede e ci solletica la caviglia, improvvisamente trasaliamo e senza accorgercene alziamo la gamba impauriti, per scoprire che si tratta di un innocuo ramoscello.

Il cervello emozionale si occupa prevalentemente di stabilire una detection e approntare una risposta, delegando alle porzioni corticali soprastanti la regolazione dei circuiti emozionali, coinvolgendo la corteccia prefrontale. Questa corteccia evolutivamente più recente, tra i mammiferi è posseduta solo dall'uomo, è suddivisa in aree, tra le quali quella che più interessa la regolazione delle emozioni e dell'aggressività è la corteccia orbitofrontale (OFC).

Semplificando, le aree implicate nel circuito di regolazione delle emozioni sono: la OFC, amigdala, (si tenga presente che è una formazione bilaterale, praticamente sono due) corteccia cingolata anteriore (ACC), ippocampo, corteccia insulare, ipotalamo, striato ventrale e le loro strutture di connessioni.I principali studi sono stati effettuati su roditori, scimmie e uomo, sia su vivente che su cadavere con risultati che ancora non ci permettono di disvelare tutti i complessi meccanismi di regolazione fine dei circuiti coinvolti ma che tuttavia ci forniscono una base di dati scientificamente validata.

Il punto cruciale del sistema sembra essere l'amigdala, una struttura a forma di mandorla collocata in posizione intermedia tra proencefalo e cervello primitivo, la quale ha rivelato la sua attività nella detection delle espressioni facciali di emozioni negative, quali paura, rabbia e disgusto. Le evidenze sono molto esplicite: pazienti con lesione bilaterale del nucleo laterale dell'amigdala e solo di quello, mostrano difficoltà o incapacità nel riconoscere le espressioni facciali di paura. Non solo, l'incremento di scarica di questo nucleo in corrispondenza della percezione di immagini rappresentanti volti che esprimono paura o rabbia, si associa ad un innalzamento della frequenza di scarica delle aree corrispondenti a OFC e ACC. Il significato di questo incremento è stato posto in relazone con la regolazione dei circuiti dell'espressione delle manifestazioni di rabbia e paura. E' probabile che la ragione di un comportamento riflessivo sia dovuto all'incremento di scarica di queste due aree che retroagisce sulla stessa amigdala, inibendola. Individui caratterizzati da comportamenti particolarmente aggressivi e violenti, con impulsività rabbiosa sembrano essere deficitari proprio in questi circuiti, che non incrementano la scarica alla percezione dello stimolo, esercitando un effetto di “raffreddamento emozionale” come è stato coloritamente denominato.

L'analisi di esami di neuroimaging che mostrano scarsa attività di queste due aree alla presentazione di stimoli innesco, ci permette di individuare strumentalmente e preventivamente i soggetti che manifesteranno comportamenti caratterizzati da una particolare forma di aggressività, connotata da impulsività ed esplosività non finalizzata. Non solo, anche la vulnerabilità alle aggressioni è stata correlata al malfunzionamento di queste due aree, con incapacità di “ribaltare” lo stato emozionale negativo in uno neutro. Inoltre una sensibile perdita di massa in queste aree è associata in circa il 60% dei soggetti violenti. Soggetti uccisi dopo scontri violenti e indagati alla neuroimaging, hanno quasi sempre mostrato anomalie nelle aree OFC e AAC, che essendo sottoperformanti si associano a perdita di volume neurale per deconnessione sinaptica. Viceversa soggetti individuati alla neuroimaging come probabili candidati ad emettere comportamenti violenti sono stati puntualmente confermati essere quelli che erano stati condannati per stupro e omicidio violento.

Ci sono anche altri predittori di comportamenti di violenza, rabbia e suicidio realizzato con modalità cruente che fanno perno sul neurotrasmettitore serotonina, propriamente 5-idrossitriptamina (5HT), un'amina biologica con l'aminoacido triptofano idrossilata in posizione 5. Questa molecola è sintetizzata a livello dei pirenofori e trasferita tramite flusso assonale all'estremità dell'assone, che la libera nella fessura sinaptica. Possono esserci varie anomalie in questa fase: la sintesi è anomala per polimorfismo del gene che la codifica; il flusso assonale è difettoso per anomalie delle proteine del citoscheletro; il sito di rilascio non è dotato di enzimi efficaci per la sua liberazione in tempi sincroni; la ricaptazione presinaptica della molecola è poco efficiente; infine la proteina di trasporto plasmatico è anomala. Poi ci sono tutti i problemi che coinvolgono il livello post sinaptico e recettoriale che qui non elencheremo, limitando la descrizione dei punti problemtici che coinvolgono un solo neurotrasmettitore solo per rendere il livello di complessità biologico del funzionamento neurale.

Il SNC contiene un canale ripieno di liquido, che si prolunga nel midollo spinale e lo avvolge, mantenendo il cervello in sospensione e proteggendolo da urti e traumi, in cui sono rintracciabili diversi metaboliti prodotto dell'attività metabolica dei neuroni. Uno dei metaboliti della 5-HT è l'acido 5-idrossi indolacetico (5-HIAA), la cui quantità si è visto correlare con la quantità di 5-HT a livello presinaptico (che non significa che coincide con la quantità liberata nella fessura). Il livello di 5-HIAA si è rivelato un buon predittore nell'individuare i ragazzi a rischio di violenza e suicidio violento e di adulti che andranno soggetti a recidive per azioni violente.

Un'altra sostanza che ha mostrato correlare con i livelli di aggressività dei soggetti, costituendo un ulteriore indice per quanto sempre basata sui livelli di 5-HT è la fenfluramina, una sostanza agonista postsinaptico della 5-HT che quando viene somministrata a soggetti normali determina un corrispondente innalzamento dei livelli di prolattina, fornendo un indice dei livelli di 5-HT del cervello. Coerentemente, i soggetti inclini all'impulsività e violenza presentano una risposta molto bassa nei livelli di prolattina quando viene somministrata una dose di fenfuramina, mentre i soggetti normali, di controllo hanno un netto innalzamento dei livelli di prolattina. Le indagini sui fluidi non hanno rivelato un'accuratezza predittiva sovrapponibile a quella della neuroimaging, anche per il livello di complessità dei percorsi serotoninergici e delle loro anomalie, come accennato sopra. E' possibile che bassi livelli di 5-HIAA correlino con altre caratteristiche quali tendenze a depressione dell'umore o più frequentemente a ciclicità alterata della regolazione timica e soprattutto segnalino la presenza di disturbi dell'area ossessiva e compulsiva, che sembrano legati al ruolo dell'amigdala, che è prevalentemente dopaminergica e a anomalie della proteina di trasporto della serotonina, che veicola la conduzione dei segnali dall'amigdala verso i centri deputati alla loro elaborazione nella corteccia prefrontale. Tuttavia è certo che i soggetti affetti da disturbi compulsivi mostrano caratteristiche di eccessiva attivazione di aree prefrontali mediali e laterali, esattamente l'opposto dei violenti.

Un ultimo parametro predittivo di aggressività coinvolge l'enzima che idrolizza il triptofano permettendone la sua utilizzazione nella composizione della serotonina. Questo enzima, triptofano hidrossilasi (TPH) nei soggetti normali è codificato da un gene in forma L mentre nei violenti si osservano forme pleimorfiche alternative di tipo U. Il gene è denominato TPH A218C e la forma LL, cioè con alleli L è presente ngli individui normali, mentre quelle con solo allele L o con allele U oppure forma omozigote UU ha rivelato caratterizzare gli individui aggressivi e violenti. A livello postsinaptico, i recettori per la 5-HT sono densamente distribuiti a livello PFC e ACC, particolarmente i recettori serotoninici di tipo 2. Nei soggetti normali, la somministrazione di fenfuramina determina un incremento dell'assorbimento di glucosio a livello delle aree prefrontali, particolarmente la ventro mediale e limbiche implicate con l'attività dell'amigdala mentre nei soggetti violenti l'iniezione di fenfuramina non ha rivelato alla PET alcun incremento significativo di attività nelle aree corrispondenti. Il significato di questa differenza è ancora allo studio ma si può asserire che i violenti sono caratterizzati da anomalie nelle aree prefrontali e limbiche, dove la 5-HT svolge ruolo di mediatore fondamentale nella conduzione degli impulsi.

Anche anomalie del lobo temporale sono implicate; particolari forme epilettiche che coinvolgono il sistema limbico di cui è parte, possono esitare in comportamenti caratterizzati da esplosioni di violenza scaricata su oggetti e persone, improvvisi, immotivati e non legati allo stato relazionale e ambientale che li precedono. Il cambiamento della tonalità affettiva è repentino, in concomitanza con la crisi epilettica delle strutture profonde, con durata compresa tra i due e i dieci minuti, seguita da rilasciamento muscolare, cui segue un periodo di disorientamento cognitivo, con derealizzazione e depersonalizzazione, di durata variabile tra dieci minuti e alcune ore, concludendosi con il recupero dello stato di equilibrio.